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Master Sapienza-Inail, online il programma didattico dei nove corsi di alta formazione

In calendario tra il prossimo ottobre e il giugno 2019, prenderanno in considerazione gli aspetti giuridici, ingegneristici, medici, metodologici e di gestione del rischio, in un’ottica multidisciplinare e integrata. Le iscrizioni aperte anche a laureati di primo e secondo livello, magistrali e di vecchio ordinamento

ROMA – Nell’ambito del master biennale di secondo livello sulla gestione integrata di salute e sicurezza, inaugurato lo scorso febbraio dall’Inail insieme alla Sapienza Università di Roma per formare nuove figure specializzate capaci di rispondere ai cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, da oggi è disponibile online il programma didattico dei nove corsi di alta formazione che si svolgeranno nel periodo compreso tra il prossimo ottobre e il giugno 2019.

Dalle nanotecnologie alla robotica un focus sulle tematiche emergenti. I corsi fanno parte del secondo modulo delle attività didattiche del master, che coinvolge trasversalmente le quattro facoltà di Medicina e Odontoiatria, Farmacia e Medicina, Giurisprudenza e Ingegneria civile e industriale, e affronteranno aspetti emergenti e innovativi nel settore della salute e sicurezza sul lavoro, relativi in particolare ai mutamenti demografici e all’evoluzione tecnologica. Dalle tecnologie abilitanti all’Internet delle cose, dalle nanotecnologie all’automazione digitale e robotica, fino allo smart working e alla biomedicina, i temi al centro della proposta didattica saranno analizzati dal punto di vista giuridico, ingegneristico, medico, metodologico e di gestione integrata del rischio, in un’ottica multidisciplinare.

Le lezioni distribuite tra la Direzione generale dell’Istituto e le sedi dell’ateneo. Le lezioni dei corsi di alta formazione si terranno presso la Direzione generale Inail di piazzale Pastore e nelle sedi messe a disposizione dai Dipartimenti della Sapienza a cui afferiscono i singoli corsi. Oltre agli studenti del master, l’offerta formativa del secondo modulo è rivolta anche ai laureati di primo e secondo livello, ai laureati magistrali e ai laureati di vecchio ordinamento. La partecipazione a ciascun corso prevede il riconoscimento di crediti formativi universitari.

Da gennaio al via gli stage con gli enti partner. Per sviluppare un dialogo proficuo con realtà di eccellenza del mondo produttivo, sono inoltre previste iniziative e giornate formative realizzate in collaborazione con gli enti partner del master: Aeroporti di Roma, Confindustria, Enel, Eni, Federchimica, Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Fondazione Rubes Triva, Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) e Terna. Queste attività sono propedeutiche anche ai percorsi di stage/tirocinio che saranno attivati per gli studenti del master a partire dal prossimo mese di gennaio.

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Il Rettorato dell’ateneo romano ha fatto da cornice alla giornata di apertura del corso biennale di II livello sulla gestione integrata di salute e sicurezza, promosso insieme all’Istituto per formare nuove figure specializzate in grado di operare in contesti multidisciplinari

 

Fonte: inail.it

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Impianti elettrici non a norma in edifici scolastici. Chi risponde?

Ritorna ad esprimersi la Corte di Cassazione in questa sentenza in merito alla individuazione della figura del datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni definito come tale dal D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., con l’articolo 2 comma 1 lettera b), il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. Il datore di lavoro pubblico individuato in tale sentenza è il Sindaco di un Comune al quale erano state contestate delle violazioni in materia di sicurezza sul lavoro per gli impianti elettrici di alcuni edifici scolastici gestiti dal comune stesso non risultati a norma.

 

Avendo il Sindaco sostenuto a sua difesa, nel ricorrere alla Cassazione, che il responsabile delle violazioni accertate era da individuare nella figura del Dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale incaricato della manutenzione degli impianti dei plessi scolastici, la suprema Corte ha avuto modo di ribadire che il Sindaco di un Comune va esente da responsabilità in materia antinfortunistica, in base al citato articolo 2 del D. Lgs. n. 81/2008 solo se procede all’individuazione dei soggetti cui attribuire in sua vece la qualifica di datore di lavoro. Viceversa, se l’organo di direzione politica non ha espressamente attribuito al dirigente del settore competente la qualifica di datore di lavoro, è lui stesso che conserva tale qualifica.

 

Il caso, la sentenza del Tribunale e il ricorso in cassazione

Il Tribunale ha condannato il Sindaco pro-tempore di un comune alla pena di euro 3.000 di ammenda, condizionalmente sospesa, perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 70, comma 1, in relazione all’art. 87, comma 2, lett. a) del D. Lgs. n. 81 del 2008, per non avere, nella sua qualità di datore di lavoro, messo a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentati di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto e in particolare per non avere dotato alcune scuole materne, elementari e medie gestite dall’ente locale di impianti muniti di certificato di conformità, con verifica di messa a terra e denuncia degli impianti stessi allo Spresal locale e all’Ispesl.

 

L’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la citata sentenza sostenendo che il Tribunale avrebbe erroneamente individuato in lui, nella veste di Sindaco, il soggetto responsabile delle violazioni accertate, che, in forza del principi di separazione tra funzioni di indirizzo politico e di gestione, erano da ascrivere in via esclusiva al dirigente responsabile dell’attività amministrativa, ossia al dirigente dell’ufficio tecnico del Comune che era il responsabile della manutenzione degli edifici scolastici.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato considerato infondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha ricordato che il principio di distinzione tra ruolo politico e ruolo amministrativo nell’ambito dell’ente locale è espressamente affermato dall’art. 107 del D. Lgs. n. 267 del 2000, perché lo stesso ha attribuito “ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti” e ha stabilito che questi si uniformino a tale principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo (comma 1) e spettano ai dirigenti, ai sensi del successivo comma 2,  tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale.

 

Con specifico riferimento al settore della sicurezza sul lavoro, ha precisato la suprema Corte, deve però aggiungersi che, a norma dell’art. 2, lett. b), del D. Lgs. n. 81 del 2008 per datore di lavoro si intende il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D. Lgs. 30/3/2001 n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo.

 

In tale disposizione sono confluite le soluzioni adottate da parte della giurisprudenza in vigenza della precedente normativa, laddove si era specificata la necessità di un atto espresso di individuazione del dirigente o del funzionario quale datore di lavoro, rimanendo in caso contrario quella posizione in capo al vertice politico dell’Ente pubblico. Si era, in altre parole, riconosciuto carattere costitutivo all’atto dell’organo di vertice dell’Ente che attribuisse ad altri la qualità di datore di lavoro, data la natura originaria della posizione datoriale del dirigente, individuato in quanto tale dalla legge.

 

Quindi l’individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro, ha ribadito la Sez. III, è demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l’attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale, non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico. Nelle pubbliche amministrazioni, in altre parole, l’attribuzione della qualità di datore di lavoro a persona diversa dall’organo di vertice non può che essere espressa, anche perché comporta i poteri di gestione in tema di sicurezza. Sono gli organi di direzione politica che devono procedere all’individuazione, tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici, non essendo per tale ragione possibile una scelta non espressa e non accompagnata dal conferimento di poteri di gestione alla persona fisica; di conseguenza, in mancanza di tale individuazione permane in capo a suddetti organi l’indicata qualità, anche ai fini dell’eventuale responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica.

 

Pertanto, “il sindaco di un Comune va esente da responsabilità in materia antinfortunistica, in base all’art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 9 aprile 2008, 81, solo se procede all’individuazione dei soggetti cui attribuire in sua vece la qualifica di datore di lavoro; viceversa, l’organo di direzione politica che non abbia espressamente attribuito la qualifica di datore di lavoro al dirigente del settore competente, conserva lui stesso la qualifica”.

 

Nel caso in esame, ha così concluso la suprema Corte, non è risultato che il Sindaco del Comune, peraltro di modeste dimensioni, avesse espressamente attribuito la qualifica di datore di lavoro al dirigente del settore competente con la conseguenza che lo stesso ha conservata la detta qualifica. Del resto, come evidenziato dal Tribunale, le riscontrate criticità degli impianti elettrici erano state segnalate al Sindaco il quale, ove avesse espressamente individuato un dirigente cui attribuire la qualifica di datore di lavoro, avrebbe investito costui della problematica. Ciò non era stato fatto nella circostanza in esame a conferma che nessuna individuazione era stata compiuta dal Sindaco, il quale, pertanto, rimaneva l’unico soggetto cui attribuire la qualifica di datore di lavoro.

 

Essendo risultato quindi inammissibile il ricorso il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione III – Sentenza n. 30170 del 5 luglio 2018 – Pres. Di Nicola – Est. Corbetta – P.M. Romano – Ric. E.S.. – Il sindaco di un comune va esente da responsabilità in materia antinfortunistica solo se procede alla individuazione dei soggetti cui attribuire la qualifica di datore di lavoro. se non vi ha provveduto tale qualifica rimane in capo a lui stesso.

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Le belle storie Inail

L’iniziativa, ispirata a un progetto della pagina Facebook istituzionale, si basa sulla pubblicazione di videostorie nelle quali gli assistiti Inail, vittime di infortuni sul lavoro, si raccontano. Focus della campagna è la narrazione della loro esperienza di vita e di reinserimento sociale anche attraverso il sostegno dell’Istituto.

Obiettivi 
Aumentare la conoscenza e la comprensione dell’attività dell’Istituto, diffondendo nel contempo i contenuti della mission istituzionale e i compiti dell’Inail sull’assistenza, la riabilitazione, il reinserimento sociale. Su quest’ultima attività, in particolare, si concentra la campagna di comunicazione: l’obiettivo è quello di dare maggiore visibilità al percorso con cui Inail, con il sostegno delle sedi territoriali e del Centro Protesi, accompagna l’infortunato sul lavoro a riprendere il proprio posto nella società.

Strategia di comunicazione
L’obiettivo di comunicazione è perseguito attraverso le voci e i volti delle persone coinvolte che in una videointervista raccontano la propria storia e l’esperienza con l’Istituto. Protagonista è l’infortunato il quale, partendo dal momento dell’incidente, racconta il proprio vissuto e l’incontro con l’Ente, al suo fianco nel percorso di reinserimento sociale.
Una galleria di ritratti, composta e arricchita dal contributo di ciascun protagonista ripreso nella propria quotidianità, che nell’insieme restituisce una visione collettiva: quella che l’Inail ha delle cure da offrire ai propri assistiti.
Per raccontare “Le belle storie Inail” è prevista la creazione di una rubrica fissa, in cui sarà pubblicata ogni mese una storia diversa.

Messaggio
L’Inail riabilita, reintegra, fornisce i mezzi per ricostruire a livello sociale la vita degli infortunati. La campagna vuol essere anche un mezzo per comunicare un messaggio positivo e offrire uno stimolo a quelle persone che, di fronte alle oggettive difficoltà causate dalla condizione di disabilità, perdono la motivazione e la voglia di guardare avanti.
Il logo “Le belle storie Inail” che appare nei video, oltre a rendere riconoscibile ed immediatamente identificabile l’attività istituzionale, suggerisce la promozione di un’attività di comunicazione basata su quelle che giornalisticamente sono classificate come “buone notizie”.

Strumenti di comunicazione 
Il piano prevede la diffusione delle videostorie su portale istituzionale, Facebook, YouTube e la preparazione di una versione ridotta delle stesse, da veicolare attraverso i media interessati.

 

Fonte:inail.it

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Bando Bric 2018

Con il Bando Bric 2018, Inail intende valorizzare e implementare la propria rete scientifica, mediante l’affidamento di progetti in collaborazione di durata biennale, per lo sviluppo di tematiche di ricerca nei tre ambiti core della mission istituzionale (il reinserimento lavorativo, la tutela assicurativa e la prevenzione), per il completamento degli obiettivi del Piano di attività di ricerca 2016/2018 e in una prospettiva integrata con la prossima pianificazione operativa triennale ai sensi del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 218.

Destinatari delle collaborazioni
Enti di ricerca pubblici e i relativi dipartimenti, che siano dotati del relativo potere di rappresentanza nei rapporti con i Terzi secondo i rispettivi ordinamenti o in virtù di specifici atti di delega, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, università e dipartimenti universitari.

Le risorse finanziarie 
Per l’attivazione del sistema di collaborazioni è previsto un finanziamento, per l’esercizio 2018, pari ad € 4.550.000,00 a valere sulle risorse stanziate per la Missione ricerca nel bilancio di previsione dell’Inail.

Presentazione delle proposte progettuali
La domanda di partecipazione alla selezione deve essere presentata, pena l’esclusione, a firma del soggetto che abbia il potere di rappresentanza del Destinatario Istituzionale nei rapporti con i Terzi, o di un suo delegato, compilando il modulo di cui all’Allegato 1 ed inviata, tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) all’indirizzo e-mail bandobric@postacert.inail.it, entro e non oltre le ore 24 del giorno 3 agosto 2018.
La modalità di presentazione delle proposte è descritta nel bando integrale.

Contatti
Per informazioni ed assistenza sul presente Bando è disponibile il seguente indirizzo e-mail: helpbric@inail.it
Chiarimenti e informazioni sul presente Bando possono essere richiesti entro e non oltre il termine del 31 luglio 2018..

Criteri generali per l’affidamento di collaborazioni a titolo oneroso alle attività di ricerca dell’lnail – Piano delle attività di ricerca 2016-2018 – Ricerca Discrezionale. Bando Bric – edizione 2018.

Linee di indirizzo per la Ricerca Inail 2018.

Piano delle attività di ricerca 2016/2018 – Ricerca discrezionale

ALLEGATI

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Fonte: inail.it

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Movimentazione nei magazzini: l’uso sicuro dei carrelli commissionatori

Bologna, 17 Lug – Un’attrezzatura di lavoro utilizzata spesso nei magazzini per rendere più efficienti le operazioni di prelievo è il carrello commissionatore o carrello a posto di guida elevabile, un carrello elevatore impilatore con forche che permette all’operatore a bordo di prelevare il carico a più livelli. La macchina, utilizzata, ad esempio, nelle operazioni di carico e scarico nei magazzini intensivi non automatici, viene condotta “nei corridoi tra le scaffalature del magazzino e permette all’operatore, sollevando la cabina di guida, di operare in quota”.

 

 

commissionatori, generalmente non utilizzabili su pavimentazione irregolare o su sterrato, sono correlati a diversi fattori di rischio per l’incolumità degli operatori. E per conoscere alcuni di questi rischi e le possibili misure di prevenzione possiamo fare riferimento al documento “ ImpresaSicura_L’abbigliamento” correlato al progetto multimediale Impresa Sicura – elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail – validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.

Nel capitolo dedicato alla sicurezza di apparecchi di sollevamento e mezzi di trasporto si forniscono informazioni, infatti, sull’uso in sicurezza del carrello commissionatore, con particolare riferimento al settore tessile e dell’abbigliamento.

 

Gli elementi di pericolo dei carrelli commissionatori

Il documento di ImpresaSicura riporta innanzitutto informazioni sui tre principali fattori di rischio.

Il primo è relativo all’impigliamento, trascinamento, schiacciamento e taglio.

Si indica che tutti gli elementi mobili “devono essere segregati da ripari fissi o mobili dotati di microinterruttore di sicurezza. Particolare attenzione deve essere posta al sistema di ruote dentate e catene per il sollevamento, verso i quali l’operatore deve essere costantemente protetto. Inoltre la cabina deve avere funzione di protezione contro il ribaltamento, gli oggetti che possono cadere dall’alto, ma anche per evitare danni all’addetto in caso di manovra scorretta contro elementi strutturali posti al di sopra della cabina stessa”.

E il movimento orizzontale del commissionatore “deve di norma avvenire con la cabina nella posizione bassa. Qualora ciò non avvenga la macchina è dotata di limitatore di velocità che interviene ogni qualvolta la cabina non è nella posizione più bassa e permette gli spostamenti orizzontali solo a velocità estremamente ridotta”.

 

Un altro rischio è correlato all’elettrocuzione, alla folgorazione per contatto indiretto.

Si indica che la marchiatura CE “garantisce la rispondenza della macchina e dei suoi componenti alla direttiva bassa tensione. Il carrello viene normalmente alimentato con un pacco di batterie a 110 V. Particolare attenzione deve essere posta nelle fasi di collegamento e scollegamento della batteria sia al carrello che al caricabatterie per la fase di carica della stessa. Qualsiasi anomalia deve essere segnalata al reparto manutenzione e qualsiasi intervento che configuri un lavoro elettrico deve essere effettuato da personale specializzato”.

 

Un terzo fattore di rischio, presente generalmente in tutti i carrelli elevatori, è correlato al pericolo di ribaltamento e, in questo caso, alla caduta dall’alto per ribaltamento.

Si segnala che la cabina del commissionatore “può raggiungere l’altezza di alcuni metri rispetto al piano di riferimento, pertanto la caduta dalla stessa o il ribaltamento del carrello può avere effetti letali”. Inoltre si indica che la cabina è “dotata di cancello, con apertura verso l’interno, interbloccato” ed è vietato “salire sulle sponde della cabina del commissionatore o su qualunque altro oggetto che sollevi l’operatore rispetto al piano della cabina”.

Inoltre il carrello “deve essere condotto lungo percorsi prestabiliti e gli spostamenti devono essere effettuati con la cabina nella posizione più bassa, che garantisce la massima stabilità della macchina”.

 

Le misure di prevenzione con i carrelli commissionatori

Sono riportate le misure di prevenzione “atte a migliorare i sistemi di sicurezza per le condizioni di esercizio e soprattutto per il rischio di perdita accidentale di stabilità (rovesciamento):

  • controllo e regolazione della velocità massima o della forza frenante in relazione alle varie altezze di sollevamento in corsa e fuori corsa;
  • dispositivo limitatore della velocità massima di traslazione con guida contrastata (traiettoria controllata dalle ruote laterali poste alla base del carrello che vanno a battuta con le guide metalliche poste alla base degli scaffali);
  • dispositivo limitatore della velocità massima di traslazione con guida induttiva (traiettoria controllata da un sensore posto sotto il carrello che rileva il campo magnetico generato in un conduttore annegato nel pavimento);
  • frenata automatica di fine corsa e/o frenata di emergenza maggiorata con guida induttiva;
  • dispositivo limitatore delle prestazioni e/o impedimento alla marcia se i sistemi passivi non sono in posizione corretta;
  • dispositivi di blocco del sollevamento a determinate quote del montante;
  • sensori di controllo allentamento catene;
  • eventuale sensore di contatto posto sul tetto della cabina contro urti verso l’alto;
  • – dispositivo limitatore delle prestazioni in funzione dell’angolo di sterzatura”.

 

Le istruzioni per l’uso in sicurezza dei commissionatori

Il progetto multimediale ImpresaSicura raccoglie anche diverse indicazioni relative alle azioni per la sicurezza e l’igiene del lavoro da mettere in atto prima, durante e dopo l’utilizzo del carrello:

  • Prima dell’utilizzo:
    • “Prendere visione delle istruzioni per l’uso ed essere informati all’utilizzo in sicurezza della macchina;
    • Verificare la presenza e il corretto funzionamento delle sicurezze;
    • Verificare il funzionamento del pulsante di arresto di emergenza;
    • Prima dell’accensione macchina, accertarsi che non vi siano corpi estranei (cacciaviti, chiavi, viti, ecc.) sulla macchina;
    • Assicurarsi che la messa in funzione della macchina non sia pericolosa per la macchina stessa o per le persone che vi sono attorno;
    • Indossare indumenti che non possano impigliarsi alle parti in movimento (ad esempio: sciarpe, tute o camici con maniche non chiuse ai polsi), non tenere capelli lunghi sciolti;
    • Indossare i dispositivi di protezione individuale (DPI);
  • Durante l’utilizzo:
    • I meccanismi di protezione o di sicurezza non devono mai essere disattivati durante il ciclo di produzione della macchina, salvo temporaneamente quando viene espressamente richiesto per un’operazione di manutenzione o altro e comunque ad impianto disattivato;
    • La macchina deve essere avviata solo da personale specializzato, che abbia ricevuto formazione ed addestramento specifici;
    • Controllare che sul pavimento non vi siano residui di grasso o di olio, ed eventuali oggetti che possono fare scivolare o inciampare l’operatore nella zona di lavoro;
    • Non fare funzionare la macchina senza controllare il regolare svolgimento di tutte le operazioni;
    • Utilizzare la macchina solo esclusivamente per effettuare le operazioni per cui è stata progettata;
    • È vietato mutare le regolazioni degli apparati di controllo o gli strumenti applicati alla macchina senza esserne autorizzati e senza conoscerne il funzionamento;
    • Non intervenire sulla macchina in funzione e non avvicinarsi alle parti in movimento;
    • A macchina in funzione assicurarsi che non vi siano perdite d’olio o di altri liquidi; verificare il funzionamento regolare dei componenti elettrici, senza trascurare odori o rumori sospetti;
    • Fare attenzione agli strumenti di comando; sostituirli quando sono danneggiati;
    • Fermare la macchina al verificarsi di anomalie che pregiudichino la sicurezza del funzionamento;
    • Al presentarsi di una situazione di pericolo incombente o effettivo per l’operatore o per la macchina, premere un pulsante d’emergenza (a forma di fungo rosso);
    • In caso di cattivo funzionamento della macchina e/o degli strumenti di controllo, arrestarla e chiedere l’intervento del servizio di manutenzione;
    • Ad ogni cambio di turno l’operatore è tenuto a comunicare al suo sostituto o al responsabile di reparto, ogni anomalia di funzionamento, in particolare quelle tecniche relative ai dispositivi di sicurezza;
    • Non guidare con la cabina in movimento verso l’alto o verso il basso;
    • Portare sempre la cabina nella posizione più bassa prima di iniziare la guida;
  • Dopo l’utilizzo:
    • Spegnere la macchina ed estrarre la chiave di avviamento. La chiave non deve restare sul carrello quando l’operatore si allontana dallo stesso;
    • Lasciare pulita e in ordine la macchina (in particolare il posto di lavoro)”.

 

Ricordiamo, in conclusione, che il documento di ImpresaSicura sul settore tessile-abbigliamento riporta ulteriori indicazioni sulla sicurezza dei commissionatori in relazione a: organi di comando, rischi per la salute, dispositivi di protezione individuale e formazione.

RTM

Vai al sito da cui è tratto l’articolo:

Il sito “ Impresa Sicura”: l’accesso via internet è gratuito e avviene tramite registrazione al sito.

 

Scarica i documenti di riferimento:

Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro – Buone Prassi -Documento approvato nella seduta del 27 novembre 2013 – Impresa Sicura

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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D.Lgs. 81: i costi della non sicurezza

Le tematiche riguardanti i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” continuano ad essere oggetto di interesse da parte delle “Istituzioni”, delle “Parti Sociali”, dei Mass Media, dei professionisti “addetti ai lavori” tramite studi, convegni, incontri, dibattiti, articoli, con alterni risultati.

 

Il titolo è intenzionalmente “provocatorio” nei confronti dei Datori di Lavoro e dei Dirigenti, pubblici e privati, in quanto le tematiche che riguardano i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” partono dalla oggettiva constatazione che questi principali soggetti, con precisi poteri decisionali e di spesa e che organizzano e dirigono attività produttive secondo attribuzioni e competenze conferite, continuano ad ignorare e sottovalutare questi costi dovuti esclusivamente ad una cattiva gestione del “fenomeno infortunistico” (infortuni, malattie professionali, infortuni invalidanti, incidenti, infortuni mortali, etc.) aggravato dal fatto che le cicliche “Crisi economiche” sommate alla “Riduzione del fatturato” stanno comportando una drastica “Compressione del budget della salute e della sicurezza sul lavoro”.

 

Calando queste considerazioni in molte realtà industriali italiane, i Datori di Lavoro ed i Dirigenti rispetto ai “COSTI DELLA NON SICUREZZA” parlano più di “ costi della sicurezza” evidenziando il disinteresse e, nel contempo, la tendenza a comprimere il budget della salute e della sicurezza sul lavoro che, per contro, aumentando invece i rischi per i lavoratori e le responsabilità civili e penali dei Datori di Lavoro e dei Dirigenti stessi. Ed ecco perché i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” sono oggetto di un continuo studio, interesse e dibattito da parte di autori specializzati, di ricercatori, di Associazioni di categoria dei Datori di Lavoro e più di recente dall’INAIL, con il Progetto CO&SI (Costi e Sicurezza), per l’oggettivo interesse che il tema sviluppa nel campo della prevenzione. Purtuttavia questi evidenti risultati, soprattutto per quanto riguarda gli evidenti e certificati “ritorni economici”, stentano invece, ancora oggi, a decollare concretamente e a far parte di una vera progettualità all’interno delle aziende.

 

Questo in premessa, perché, per contro, è necessario calcolare realmente i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” partendo dal basso verso l’alto (botton up), dalla “singola” azienda e differenziando la stessa in micro, piccola, media e grande dimensione, in modo da conoscere, azienda per azienda, quali sono i reali costi individuali, anche in assenza del “fenomeno infortunistico”, e registrandoli, come da letteratura generale in materia, in “Costi diretti” e “Costi indiretti”.

 

In merito è bene fare cenno sul reale “valore macro economico” che invece è noto in materia di “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, ma il cui approccio registra ancora una certa resistenza culturale, una ignoranza del tema, a possibili mutamenti da parte delle “Istituzioni” e delle “Parti Sociali”, ad di sotto del quale il “Sistema Italia di prevenzione” non riesce ad andare, nonostante i rilevanti costi registrati dal PIL sia a livello mondiale che nazionale. Infatti l’ILO, l’agenzia delle Nazioni Unite, registra “ COSTI DELLA NON SICUREZZA” intorno al 4% del PIL mondiale pari a una cifra “monstre” di più 1.250.000 milioni di dollari, mentre il “Sistema Italia” registra un valore di 3.5% del PIL per un costo di 45 miliardi di EUR, vale a dire ben 87.000 miliardi di vecchie Lire che rende più accessibile la valutazione del danno. Una cifra alta, completamente ignorata, dovremmo dire pazzesca e anche amorale che non giustifica questa indifferenza delle “Istituzioni” e delle “Parti Sociali” che continuano, anno dopo anno, a disinteressarsi di questo  “fenomeno infortunistico”, in particolare gli infortuni mortali, nonostante che questi costi riguardino sia le aziende private sia lo Stato. Ed ecco perché è apparso opportuno, ancora oggi, tradurre questi “COSTI DELLA NON SICUREZZA” anche in “Lire”, in quanto la cifra in gioco appare ancora oggi non allarmante per la sua gravità e non offre una precisa idea dell’enorme danno al “Sistema Italia di prevenzione”, incontrollabile da parte delle “Istituzioni” e dalle “Parti sociali” che non giustifica la sottovalutazione che si fa. Parimenti è difficile sapere dalle Associazioni di categoria dei Datori di Lavoro quali sono i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” nel loro complesso e le ricadute di perdite economiche sulla “singola azienda” o “gruppi di aziende” con lavorazioni “omogenee” (cantieristiche, estrattive, alimentari, tessile, agrarie, etc.), nella considerazione che ci sono differenti e sostanziali differenze di approccio, in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, nel momento in cui sul territorio nazionale operano milioni di aziende che il sistema produttivo italiano ha classificato in aziende micro, piccole, medie e grandi dimensioni.

 

C’è da rilevare che mentre in microaziende (< di 10 dipendenti) e piccole aziende (< di 50) il Datore di Lavoro percepisce e registra immediatamente quello che la maggior parte degli studi, come è stato fatto cenno, indica in “Costi Diretti” (dovuti alla sostituzione del lavoratore che si è infortunato o si è ammalato per una malattia professionale, o quelli per il fermo macchina dovuto ad un incidente che riduce la produzione) e in “Costi Indiretti”(più difficili da conteggiare e quantizzare perché sono dovuti ai costi amministrativi per le registrazioni degli obblighi di legge, ai costi che si devono stimare per il minore rendimento del lavoratore che sostituisce il lavoratore infortunato, come anche la stima dei costi del cosiddetto clima aziendale o la stima del danno di immagine), per contro in aziende di medie (< di 250 dipendenti) e di grandi dimensioni (> di 250) non si percepisce affatto la dimensione del  “fenomeno infortunistico”, a maggior ragione in aziende con lavoratori superiori a 10.000 dipendenti (un numero naturalmente puramente teorico, anzi empirico ed estraneo al rigore scientifico, ma volutamente indicativo) fondato su dati dell’esperienza e nella pratica quotidiana dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione e dei Medici Competenti che gestiscono queste grandi “dimensioni” aziendali,  con serie difficoltà organizzative per l’attuazione concreta in azienda del D.Lgs. 81, a supporto dei Datori di Lavoro e dei Dirigenti, difficoltà dovute prevalentemente al fatto che quasi mai i Responsabili e Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione ed i Medici Competenti, interni o esterni, sono in “numero sufficiente” rispetto non solo al numero dipendenti (come per il calcolo del numero “obbligatorio” dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza – RLS) ma anche al numero di Unità Produttive, al numero delle lavorazioni a basso, medio e alto rischio, alle dimensioni dell’azienda, al numero delle Aziende collegate, alle Sedi o agli Stabilimenti nazionali, europei ed internazionali e così via,  e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti assegnati dal D.Lgs. 81 per presidiare, a supporto del Datore di Lavoro, dei Dirigenti e dei Preposti, tutte le aree di rischio.

 

Queste criticità riguardano il fatto che il sistema generale organizzativo e gestionale italiano sembra costantemente in una sorta di ciclico “punto di non ritorno” per cercare di contenere l’aumento del “fenomeno infortunistico”, e questo perché l’intero “Sistema Italia”, in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, è in una continua emergenza nazionale fluttuando ciclicamente di anno in anno fra risultati alti e bassi. Nel 2014 il “fenomeno infortunistico” era in diminuzione e la tendenza dei Mass Media è stata quella di rappresentare al meglio il calo significativo di questo fenomeno sottolineando con una certa enfasi che la cultura della prevenzione stesse migliorando: “Gli incidenti mortali del 2014 sono in netto calo e oltre la metà  è avvenuta fuori dall’azienda, cioè in itinere o con un mezzo di trasporto. Gli infortuni registrati dall’INAIL sono stati 437mila, con un calo del 6,3% rispetto al 2013. Risultato finanziario positivo per 477 milioni”. Il tutto, in una sorta di marketing nebuloso per non fare conoscere la vera dimensione del fenomeno infortunistico a livello nazionale, quasi per cercare di tranquillizzare l’opinione pubblica di fronte all’aumento più in particolare del devastante aspetto degli “infortuni mortali”, fenomeno indicato come “morti bianche”, dove l’uso dell’aggettivo “bianco” allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente: la vera piaga italiana dove invece ci sono delle precise responsabilità. Per contro nel 2017 i dati del “fenomeno infortunistico” registrati dall’INAIL sono stati alti (ed il primo semestre del 2018 registra questa tendenza) e in questo caso i Mass Media hanno espresso la speranza che venissero drasticamente ridotti, perché, anche per una questione etica e morale, le “morti bianche” riguardano il comportamento dell’uomo: “La ripresa delle morti sul lavoro. I decessi salgono del 5,2%. Tendenza invertita dopo anni di calo. Un effetto dell’economia che riparte, ma anche di investimenti in prevenzione fermi al palo”.

 

Insomma il “Sistema Italia” è ancora lontano, dal punto di vista culturale, etico e morale, a considerare gli infortuni mortali un “male assoluto” e la tendenza è quello di un continuo e periodico soprassalto, accompagnato sempre da una profonda indignazione, specie  quando un ragazzo di 19 anni muore schiacciato da un grande sasso, mentre lavorava addirittura con il padre, per poi ricadere in una altrettanta  e profonda rassegnazione e indifferenza pochi giorni dopo, a quello che è accaduto il giorno prima, nel momento in cui i Mass Media passano ad un’altra notizia di cronaca, nell’ottica continua che “lo spettacolo deve continuare” (“the show must go on”).

 

Chi scrive ha studiato per molti anni queste complesse tematiche, con buoni risultati, avendo lavorato per oltre trent’anni in un’azienda di grandi dimensioni del settore aeronautico e recentemente ha sviluppato uno Studio, con un altro collega, proprio sui “COSTI DELLA NON SICUREZZA” pubblicando un libro, una sorta di selfpublishing, con la speranza di cercare di favorire un cambiamento culturale e decisionale del Datore di Lavoro e dei Dirigenti (chi scrive è un Dirigente d’Azienda Industriale), sperando di fare affidamento, più in particolare, ad una “leva economica” che possa stimolare banalmente la decisione del Datore di Lavoro ad essere cosciente e consapevole che ci rimette di tasca propria, paga con proprio denaro, se non si interessa di salute e sicurezza sul lavoro, e che, a fianco di altre leve, la conoscenza di questi costi sono da ricercare esclusivamente nelle pieghe del “Bilancio d’esercizio”.

 

Per influenzare ed enfatizzare meglio l’approccio che chi scrive vuole dare ai “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, questo tema lo si deve mettere a confronto con gli obiettivi della più famosa Qualità Totale, la quale, come noto agli “addetti ai lavoro”, mette in evidenza che la ricerca della “qualità””, per essere concretamente applicata all’interno dell’azienda, deve uscire dagli angusti confini della fase produttiva di beni o di servizi, per estendersi invece a tutti gli aspetti del vissuto aziendale, fino a coinvolgere il “singolo individuo” andando dalle prime fasi di progettazione alla messa in esercizio della produzione, dall’organizzazione del magazzino alla distribuzione, dalla gestione delle risorse umane e così via. Adottare concretamente la Qualità Totale significa attuare una lotta senza quartiere agli sprechi e alle attività inutili, mettendo a punto processi caratterizzati da un’elevata efficienza e un bassissimo margine di errore. Il risultato? E’ noto un forte abbattimento dei costi e un innalzamento altrettanto straordinario della “qualità” per la produzione di beni o di servizi. Con l’applicazione della Qualità Totale l’azienda viene interamente rimodellata all’insegna della leggerezza, della rapidità, della precisione, della flessibilità. Il libro “Qualità Totale” di Alberto GALGANO ha dato un notevole contributo a far entrare questi concetti nel vocabolario della dirigenza italiana e rappresenta quindi una lettura utile per la migliore introduzione alla rivoluzione della “qualità”che tratta anche la possibile riduzione dei costi in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, sottolineando l’aspetto che, dove l’organizzazione della sicurezza coincide con l’organizzazione dell’azienda, si fa concretamente prevenzione.

 

Il confronto quindi tra “Qualità Totale” e “COSTI DELLA NON SICUREZZA” altro non è che la condivisione di un obiettivo comune di promuovere ed attuare una lotta senza quartiere a sprechi e attività inutili ed essere l’occasione per i Datore di Lavoro e i Dirigenti, tramite soprattutto il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, di classificare le “USCITE”  in “Costi Diretti e “Costi Indiretti, secondo la letteratura generale in materia accennati, nella considerazione che se il rapporto di 1 a 10 “stimato”, indica possibili errori, molto diversi da azienda a azienda, e come fatto cenno secondo in “singole” aziende di micro, piccole, medie e grandi dimensioni, perché questi costi dipendono esclusivamente da come vengono individuati, classificati, conteggiati e calcolati a seconda proprio le caratteristiche e le dimensione dell’azienda stessa.

 

C’è da prendere atto, invece, che questo approccio si azzera e conduce ad una sorta di bavaglio e ad una profonda frustrazione professionale dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione e dei Medici Competenti, nel momento in cui molti Datori di Lavoro, ignorando il processo di valutazione dei rischi, i contenuti del “Documento di Valutazione dei Rischi” ed i “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, continuano indisturbati, “quasi” in accordo con le “Istituzioni” e con le “Parti Sociali”, ad operare “consapevolmente” in situazioni ad alto rischio lavorativo (come emblematicamente l’inquinamento ambientale presente in molte realtà industriali) pienamente consapevoli delle conseguenze dell’accadimento di gravi malattie professionali (e di malattie di varia natura, anche oncologiche, per la popolazione esterna) a causa proprio della continua esposizione a questi noti e risaputi fattori ad alto rischio.

 

Pertanto, mentre è risaputo che si potrebbe operare in situazione lavorative “rischiose”, nel senso che, consapevoli della valutazione dei rischi, sono invece costantemente prese, giorno dopo giorno, misure di prevenzione e protezione per portare il rischio nei normali valori limiti di soglia previsti dalle leggi in materia, per contro si lavora invece intenzionalmente in situazioni di lavorazioni “rischiose” consapevoli dell’accadimento di malattia professionale, ma anche di infortuni,  incidenti invalidanti e infortuni mortali. In molte realtà industriali, in queste cicliche crisi economiche, dove la richiesta dei Datori di Lavoro è molto chiara, nel momento in cui soprattutto il “Bilancio d’esercizio” è negativo, in quanto impone consapevolmente al sistema socio-produttivo: “diritto al lavoro”“diritto alla salute”? Richiesta naturalmente contrapposta a quella dei Lavoratori, ma anche alle silenziose richieste dei Dirigenti e dei Preposti che lavorano negli stessi luoghi di lavoro, dove oramai prevale la “rassegnazione” e l’accettazione consapevole del “diritto al lavoro” a discapito del proprio “diritto alla salute”.

 

Il tutto quindi in una costante situazione anticostituzionale e in un silenzio assordante ed indifferente delle “Istituzioni” (vale a dire degli apparati dello Stato preposti allo svolgimento di “controlli”) e delle “Parti Sociali” ( cioè i soggetti del dialogo sociale e delle parti negoziali degli accordi interconfederali o dei contratti collettivi, quali le Associazioni Sindacali dei Datori di Lavoro e dei Lavoratori, il Governo o gli Enti locali), se non, come è stato già fatto cenno a discapito del “diritto alla salute”, in quelle dichiarazioni cicliche, tramite i Mass Media, in cui si denunciano, con “lacrime di coccodrillo”, le “morti bianche” sul lavoro, provando immediatamente dispiacere, ma per dimenticarle il giorno dopo, quando in realtà il “Sistema Italia” continua a privilegiare il “diritto al lavoro” a discapito del “diritto alla salute”.

 

Queste criticità sono descritte molto bene e a chiare lettere dalla “Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e delle sicurezza nei luoghi di lavoro” che, tramite il complesso delle audizioni e degli atti istruttori compiuti, ha dimostrato come “la superficialità dei controlli, l’incuria e la trascuratezza della Pubblica Amministrazione insieme a lungaggini burocratiche e confusioni su competenze amministrative”, protrattesi per decenni, hanno aggravato gli effetti delle condizioni generali “in spregio a qualsiasi tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori ed il persistente gravissimo pericolo per la salute della popolazione che non può consentire dilazione alcuna da parte delle autorità competenti”. Una vergognosa situazione ed indifferenza tutta italiana.

 

Per inquadrare meglio queste tematiche, e non riuscendo il “Sistema Italia” a calare questi dati in tutte le aziende, si dovrebbe cominciare a chiedere quali siano invece queste difficoltà, a livello di “Istituzioni”, “Parti sociali” e Associazione di categoria dei Datori di Lavoro, per fare calare invece lo studio di questi “COSTI DELLA NON SICUREZZA” a livello di “singole aziende”, e come è stato già fatto cenno anche in assenza del “fenomeno infortunistico”, nella considerazione che ci devono essere differenti approcci per le micro, piccole, medie e grandi aziende.

 

Avviandoci alle conclusioni, c’è da evidenziare che, da parte di chi scrive, l’occasione dello studio sui “COSTI DELLA NON SICUREZZA”  è scaturito da una normale consulenza, in materia di salute e sicurezza sul lavoro,  richiesta da parte di un perspicace Direttore del Personale, di un Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ed un Medico Competente con un’ampia visione degli aspetti organizzativi e gestionali, per un parere circa una serie di incidenti sul lavoro  occorsi accidentalmente a più lavoratori che invece potevano avere un potenziale esito mortale, sulla base della dinamica analizzata direttamente dai Dirigenti e dai Preposti delle Unità Operative interessare, in stretta collaborazione appunto con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente.

 

In estrema sintesi e come contributo a questo articolo, è venuta fuori una richiesta, in qualità di “Consulente della Sicurezza sul Lavoro” in campo specifico aeronautico, di approfondire il classico argomento “quanto costa un infortunio e quanto costa prevenirlo”, ma più in particolare quali potevano essere i reali “COSTI DELLA NON SICUREZZA” sostenuti dall’azienda, riportati e nel contempo “nascosti” nei dati del Bilancio, nel momento in cui, da una prima analisi sommaria, era emerso che tutti i costi non erano gestiti “centralmente” dal “Servizio di Prevenzione e Protezione” in stretto collegamento con la Funzione “Amministrazione del Personale” e della Direzione Finanza.

 

L’analisi dei dati forniti e riguardanti il “fenomeno infortunistico” aziendale, ha consentito di inquadrare meglio la necessità dell’obbligatorietà del calcolo dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, in quanto, rispetto alla più ricorrente  classificazione in “Costi Diretti” e “Costi Indiretti, una lettura invece molto più accurata dei singoli dati registrati nel “Bilancio di Esercizio” e più in particolare la ricerca, molte volte spasmodica, di questi dati nelle pieghe delle singole voci riportate nelle “Entrate” e nelle “Uscite” ha indotto a suggerire al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e al Direttore del Personale di considerare, distinti e separati i “Costi Assicurativi” (sia pubblici, come quelli dell’INAIL, che privati), i “Costi Diretti” (intesi come spese direttamente e indirettamente sostenute dall’azienda all’accadimento del singolo evento) ed i  “Costi Preventivi (intesi come costi conseguenti all’adozione delle misure di prevenzione e protezione).

 

La proposta che è uscita da questo studio dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, è stata quella che è necessario ed opportuno affidare il coordinamento delle operazioni di introduzione e di gestione della procedura della cosiddetta “contabilità parallela” esclusivamente al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, in quanto è l’organo più direttamente interessato alla valutazione dell’aspetto economico del “fenomeno infortunistico”, cioè degli infortuni, degli infortuni invalidanti, delle malattie professionali, degli incidenti, degli infortuni mortali. L’azione di coordinamento del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione appare inoltre necessaria ed opportuna per evitare che si verifichino lacune o duplicazione di valutazione. Inoltre il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione farebbe in definitiva da “cerniera” per la presentazione del Rendiconto annuale dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, indicando al Datore di Lavoro ed ai Dirigenti, in occasione della riunione annuale, i macro e/o i micro obiettivi che concretamente possono essere conseguiti a livello di singole Unità Produttive e Operative.

Questa scelta organizzativa e gestionale nei confronti del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è scaturita “esclusivamente” da una complessa considerazione contabile per poter “agganciare” il Bonus – Malus dei “Costi Assicurativi” (in particolare i costi delle oscillazioni consentite per legge dal premio assicurativo INAIL) ad un “Livello di sicurezza” aziendale, in cui “convenzionalmente” (cioè un accordo tra chi scrive, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e il Direttore del Personale ) e in una scala di valutazione del “Livello di sicurezza” dallo “0%” al “100%”, si è inteso fatto coincidere il 60% di “Livello di sicurezza” con il “Tasso di Tariffa INAIL”, il 40% con il Malus, l’80% con il Bonus, mentre il 100% è stato chiamato convenzionalmente “Rischio Zero”inteso espressamente come quella condizione in cui negli ultimi “tre” anni, all’interno dell’azienda si fossero verificati “Zero Infortuni”, “Zero Malattie Professionali”, “Zero Infortuni Mortali” e che fossero state rispettate tutte le norme in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro vigenti.

 

In conclusione, e rimandando la trattazione di queste complesse tematiche a Corsi di Formazione ad hoc in materia di “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, a parere di chi scrive, la presunzione dello Studio effettuato riguarda la novità di dover fare riferimento specifico alle oscillazioni Bonus-Malus del Premi assicurativi (in particolare al Premio INAIL) e prendere in serie considerazioni la complessa ricerca di dati di questi costi nelle pieghe del “Bilancio di Esercizio” delle singole aziende più in particolare tutti quei dati registrati nelle “Entrate” e nelle “Uscite” per calcolare in definitiva i Costi Totali, suddivisi in Costi Assicurativi, Costi Preventivi e Costi Diretti. Da evidenziare che, all’inizio della ricerca, questi costi nelle pieghe del Bilancio sono stati molto complessi e hanno richiesto al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione una nuova “lettura” del “fenomeno infortunistico” aziendale, con il supporto di funzioni aziendali che “apparentemente” non avevano collegamenti con l’intero processo di “valutazione di tutti i rischi” (ex D.lgs. 81) presenti nelle lavorazioni industriali svolte, ma che invece alla fine, e una volta a regime,  sono risultati determinanti proprio per il supporto specialistico dato dalla funzione Amministrazione della Direzione del Personale, della Direzione Finanza, della Direzione Progettazione, della Direzione di Manutenzione ed altre Funzioni/Direzioni interessate per la raccolta dei dati per il calcolo dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”. Infine il tentativo di definizione di “Rischio Zero”, ma sarà oggetto di un altro articolo, potrebbe essere l’occasione di proporre un apposito “sistema premiale” (soprattutto INAIL) dove all’azienda “virtuosa” viene riconosciuto un residuale costo assicurativo.

 

 

Donato Eramo

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Campagna informativa #storiediprevenzione

Con il bando Isi 2017 l’Istituto mette a disposizione 249.406.358,00 euro a titolo di contributo a fondo perduto per la realizzazione di progetti di miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La procedura di finanziamento è accompagnata da una campagna che mira a far passare il messaggio che investire in prevenzione non è solo un costo ma un valore

Obiettivi e strategia di comunicazione
Obiettivo della campagna è dare massima diffusione alle politiche prevenzionali e ai contenuti del nuovo Bando Isi 2017. La campagna utilizza la strategia del racconto di buone prassi e di belle storie di prevenzione delle imprese per veicolare il messaggio che investire in salute e sicurezza sul lavoro è non soltanto un dovere sotto il profilo giuridico e sociale ma anche conveniente in termini di produttività per la singola azienda e per il sistema complessivo del welfare. I social media, attraverso la narrazione dei buoni esempi di prevenzione, rappresentano una parte importante dell’iniziativa.

Target
I messaggi sono rivolti al mondo imprenditoriale, compresi gli imprenditori agricoli e giovani imprenditori agricoli, agli enti del terzo settore e agli stakeolder.

Piano media
I media pianificati sono stampa quotidiana e periodica, radio nazionali e locali, televisione nazionale e locale, circuiti di videocomunicazione, il web e i canali social network istituzionali (Facebook, Twitter e Canale YouTube). È prevista l’organizzazione di eventi territoriali per promuovere la tematica prevenzionale del bando.

Periodo di diffusione
Dicembre 2017 – aprile 2018

(.pdf – 3,2 mb)

(.pdf – 152 kb)

Modalità di partecipazione, avvisi pubblici e graduatorie relative al finanziamento.

 

Fonte: inail.it

 

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Sulle responsabilità del legale rappresentante di un’impresa cooperativa

Roma, 20 Giu – L’articolo 2 (Definizioni) del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ( D.Lgs. 81/2008) indica in modo chiaro che, ai fini e agli effetti delle disposizioni del decreto, al “lavoratore”, così come definito dalla medesima norma, è equiparato anche “il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso..”.

 

E, come ricordato anche da Anna Guardavilla nell’esauriente articolo “ Società cooperative e sicurezza sul lavoro: ruoli e responsabilità”, anche nelle cooperative vale la definizione generale secondo la quale il datore di lavoro è “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

 

 

Le sentenze della Cassazione in materia di sicurezza nelle cooperative

Sono diverse le sentenze della Cassazione che in questi anni si sono soffermate proprio sul tema delle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro all’interno delle società cooperative. Citiamone alcune:

 

La sentenza n. 14268 del 28 marzo 2018 e il ricorso

Una recente sentenza della Corte di Cassazione – la Sentenza 28 marzo 2018, n. 14268 – torna sulla definizione del “datore di lavoro” ricordando che comprende necessariamente il legale rappresentante di un’impresa cooperativa.

 

In particolare, nella pronuncia della Cassazione si indica che “M.L. propone ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Firenze ha riformato nel trattamento sanzionatorio, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, la sentenza con la quale il Tribunale di Livorno, il 17 marzo 2015, lo aveva condannato per il delitto di lesioni personali colpose con violazione delle disposizioni sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Il ricorrente ne chiede l’annullamento in relazione a due motivi di doglianza”.

 

Questi i motivi del ricorso:

  • con il primo motivo il ricorrente “denuncia vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento all’affermata qualifica datoriale attribuitagli, frutto di un’indebita applicazione analogica della qualifica al presidente-socio di una cooperativa”;
  • con il secondo motivo “lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omesso accoglimento della sua richiesta di sostituzione in appello della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria”.

 

Le indicazioni e le conclusioni della Corte di Cassazione

Nella sentenza si indica che deve considerarsi che, in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni, “i soci delle cooperative sono equiparati ai lavoratori subordinati e la definizione di ‘datore di lavoro’, riferendosi a chi ha la responsabilità della impresa o dell’unità produttiva, comprende il legale rappresentante di un’impresa cooperativa (Sez. 4, Sentenza n. 32958 del 08/06/2004, Vinci e altro, Rv. 229273); ciò che appare coerente con la concezione sostanzialistica dell’attività lavorativa e del rapporto di lavoro ai fini dell’individuazione della nozione di ‘ datore di lavoro’ e di ‘lavoratore’ cui si riferisce la normativa prevenzionistica e, oggi, quella contenuta nel testo unico approvato con D.Lgs. n. 81/2008 (cfr. per qualche esempio Sez. 3, Sentenza n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269637; Sez. 4, Sentenza n. 12348 del 29/01/2008, Rv. 239251)”.

 

Riportiamo anche le indicazioni relative al secondo motivo di ricorso, anche se non correlato a violazioni di norme in materia di salute e sicurezza.

Nella sentenza si rammenta che, in tema di sanzioni sostitutive, “l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve, previste dall’art. 53 L. n. 689 del 1981, costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato in modo non manifestamente illogico (Sez. 2, Sentenza n. 13920 del 20/02/2015, Diop Mamadou, Rv. 263300); e che la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in esame, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (Sez. 3, Sentenza n. 19326 del 27/01/2015, Pritoni, Rv. 263558). Nella specie la Corte di merito ha fatto buon governo dei suddetti principi, facendo riferimento al grado della colpa dell’imputato in relazione all’episodio delittuoso”.

 

In definitiva la Corte di Cassazione “dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:

Corte di Cassazione Penale Sez. VII – Sentenza 28 marzo 2018, n. 14268 – La definizione di “datore di lavoro” comprende necessariamente il legale rappresentante di un’impresa cooperativa.

 

Fonte: www.puntosicuro.it

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Alimentazione e lavoro: i consigli di INAIL

Le malattie croniche non trasmissibili (noncommunicable disease – NCD) uccidono nel mondo circa 40 milioni di persone ogni anno, equivalente al 70% di tutti i decessi e sono strettamente legate a stili di vita non salutari compresa la scorretta alimentazione. Le malattie cardiovascolari rappresentano la maggior parte delle morti per NCD, ovvero 17,7 milioni di persone ogni anno, seguite da tumori (8,8 milioni), malattie respiratorie (3,9 milioni) e diabete (1,6 milioni). In Europa le principali NCD (diabete, malattie cardiovascolari, cancro, malattie respiratorie croniche e disturbi mentali) causano circa l’86% dei decessi. Il fumo di tabacco, l’inattività fisica, l’uso eccessivo di alcol e diete scorrette (responsabili anche di sovrappeso e obesità) aumentano il rischio di ammalare di NCD [1]. In Italia, nel 2016, il 45,9% della popolazione oltre 18 anni era in eccesso di peso (35,5% in sovrappeso, 10,4% obeso), il 51,0% in normopeso e il 3,1% sottopeso [2].

 

L’ALIMENTAZIONE E IL LAVORO

Secondo un Rapporto del 2005 dell’Ufficio internazionale del lavoro [3], ‘un regime alimentare troppo povero o un’alimentazione troppo ricca sul luogo di lavoro può provocare una perdita di produttività del 20%’. Lo stesso Rapporto testimonia che, a monte di modesti investimenti per migliorare l’alimentazione sul lavoro, le ricadute in termini di riduzione dei giorni di malattia e degli infortuni sul lavoro sarebbero notevoli. Un’alimentazione bilanciata, adeguata e completa è sufficiente per garantire un buon livello di performance mentale e fisica. Una corretta dieta per i lavoratori deve prendere in considerazione sia le proprietà energetiche e nutritive dei vari alimenti, sia il tipo di lavoro svolto (sedentario, vario, leggero, pesante), l’ambiente in cui viene svolto (temperatura, umidità, ecc.), l’orario di lavoro (continuato, turni), il tipo di alimentazione abituale (nazionalità, religione, ecc.) e le attività extra lavorative (sport, secondo lavoro, hobby). Per evitare la diminuzione della resistenza alla fatica e della prontezza dei riflessi, i pasti consumati durante il lavoro devono essere non troppo abbondanti, facilmente digeribili, prevalentemente costituiti da carboidrati (pane, pasta, riso), legumi, frutta e verdura (alimenti ad alto contenuto di sali minerali) e da un adeguato apporto idrico. Nel lavoro mentale, che di solito si associa a sedentarietà, l’alimentazione deve essere particolarmente attenta in quanto il dispendio energetico è minimo.

Nella Tabella 1 sono indicati i valori (Kcal/h) per classi di lavoro e per sesso calcolati su un’ipotetica tipologia lavorativa in un ipotetico individuo ‘medio’, dal peso standard (65 Kg per l’uomo e 55 Kg per la donna), di età e caratteristiche fisiche ‘medie’ [4].

 

CHE COSA SI PUO’ FARE

È consigliabile favorire il consumo di cibi integrali (in particolare nelle mense) in quanto conservano meglio i principi nutritivi come vitamine, oligoelementi, fattori di crescita. Gli alimenti dovrebbero essere idonei anche per i lavoratori affetti da diabete, ipertensione, allergie e intolleranze alimentari, celiachia, ecc. Sarebbe importante attivare convenzioni con i venditori per utilizzare i buoni pasto anche in frutteria. Le aziende, anche con il supporto dei medici competenti, ed eventualmente la consulenza di un nutrizionista, si dovrebbero accertare che le mense e/o i distributori automatici, mettano a disposizione una scelta varia che comprenda buone quantità di frutta e verdura già pronte da consumare; dovrebbero permettere un tempo sufficiente per il consumo del pasto e promuovere l’attività fisica con azioni strutturate. Nelle mense aziendali potrebbero essere proposti menù con l’indicazione della composizione di ogni pietanza e delle relative calorie. L’attenzione alla dieta dovrebbe essere un argomento trattato nei corsi di informazione e formazione (Tabella 2) con la raccomandazione di tenere sotto controllo il peso utilizzando i parametri dell’indice di massa corporea e della circonferenza addominale. L’indice di massa corporea (IMC) o body max index (BMI) è un dato biometrico che si ottiene calcolando il peso in Kg diviso l’altezza in m2. È utilizzato per la classificazione del peso negli uomini adulti e nelle donne non gravide. La circonferenza addominale è utilizzata per valutare il rischio cardiovascolare in quanto l’accumulo di grasso viscerale fa aumentare il grasso sottocutaneo addominale che è proporzionale alla sua circonferenza esterna. È dimostrata una correlazione diretta fra indice di massa corporea, circonferenza vita e rischio di mortalità per complicazioni cardiovascolari, diabete e dislipidemia (Tabella 3).

 

Tabella1

Tabella2

Tabella3

 

 

L’articolo è tratto da:

INAIL – Alimentazione e lavoro (pdf, 734 kB)

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Obblighi del Coordinatore per l’esecuzione dei lavori

Gli obblighi fondamentali del coordinatore

Il Coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell’opera o Coordinatore per l’esecuzione dei lavori (CSE), è il soggetto incaricato, dal Committente o dal Responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’articolo 92 (Obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori) del D.lgs. 81/2008.

 

Il Coordinatore, ai sensi dell’art. 92 comma 1 lettere d-e-f, del D. Lgs. n.  81/2008, ha l’obbligo di controllare il rispetto del piano di sicurezza da parte delle Imprese e dei lavoratori autonomi e di proporre al Committente o al responsabile dei lavori (che negli appalti pubblici è il responsabile del procedimento) la sospensione dei lavori o addirittura di sospendere direttamente i lavori in caso di pericolo grave ed imminente.

 

Va sottolineato un aspetto estremamente importante relativo alle incompatibilità relative alla figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori.

L’art. 89 comma 1 lett. f) D. Lgs. n.  81/2008 precisa che, agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto, si intende per “coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell’opera, di seguito denominato coordinatore per l’esecuzione dei lavori” il “soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’articolo 92, che non può essere il datore di lavoro delle imprese affidatarie ed esecutrici o un suo dipendente o il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) da lui designato”. La norma precisa che “le incompatibilità di cui al precedente periodo non operano in caso di coincidenza fra committente e impresa esecutrice”.

Dunque sussiste una incompatibilità legale assoluta tra lo svolgimento del compito di coordinatore per l’esecuzione dei lavori e il rivestire la carica di datore di lavoro dell’impresa esecutrice (o comunque di dipendente o consulente-RSPP di tale datore di lavoro).

 

Il coordinatore per l’esecuzione  durante la realizzazione dell’opera (art. 92 c. 1 D. Lgs. n. 81/2008) è obbligato ad  assicurare l’applicazione concreta delle disposizioni e delle procedure di lavoro contenute nel piano di sicurezza e coordinamento «tramite opportune azioni di coordinamento» (art. 92 c. 1 cit.), e deve adeguare tale piano e il fascicolo di informazioni utili per la prevenzione dei rischi all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche che possono intervenire successivamente.

 

Compiti specifici del coordinatore per l’esecuzione dei lavori sono:

  1. a) “verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamentodi cui all’articolo 100 d. Lgs. n. 81/2008 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro”(art. 92 comma 1 lett. a D. Lgs. n. 81/2008);
  2. b) “verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamentodi cui all’articolo 100 D. Lgs. 81/2008, ove previsto,  assicurandone la coerenza con quest’ultimo, eadeguare il piano di sicurezza e coordinamento e il fascicolodi cui all’articolo 91, comma 1, lettera b) D. Lgs. n.  81/2008, in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonché verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza”  (art. 92 comma 1 lett. b D. Lgs. n. 81/2008);
  3. c) “organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione” (art. 92 comma 1 lett. c D. Lgs. n.  81/2008);
  4. d) “verificare l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere”  (art. 92 comma 1 lett. d D. Lgs. n.  81/2008 );
  5. e) “segnalare al committente al responsabile dei lavori [ove esistente, ma nulla impedisce al CSE di effettuare una segnalazione ad entrambi i soggetti], previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95 e 96 D. Lgs. n. 81/2008, e alle prescrizioni del piano di cui all’articolo 100 D. Lgs. n.  81/2008, ove previsto, e proporre la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione provvede a dare comunicazione dell’inadempienza alla azienda unità sanitaria locale territorialmente competente e alla direzione provinciale del lavoro”  (art. 92 comma 1 lett. e D. Lgs. n.  81/2008);
  6. f) “sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontratole singole lavorazionifino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate” (art. 92 comma 1 lett. f D. Lgs. n. 81/2008).

 

L’obbligo di cui alla lettera f) è particolarmente importante, perché individua la posizione di garanzia del CSE nel potere-dovere di intervenire direttamente sulle singole lavorazioni pericolose, il che implica anche la necessità legale di frequentare il cantiere con una periodicità compatibile con la possibilità di rilevare le eventuali lavorazioni pericolose.

 

In considerazione di tale potere la Cass. Pen.  Sez. IV 26 maggio 2004, Cunial, ha confermato  la condanna di un coordinatore per l’esecuzione ritenuto responsabile di omicidio colposo commesso con la violazione degli obblighi in esame per essere venuto meno “all’obbligo di modificare il piano di sicurezza in conseguenza della modifica dell’iter dei lavori e di sospendere, stante la gravità e l’imminenza del pericolo  del crollo, l’operazione di scanalatura che il deceduto stava effettuando sul muro  privo di qualsiasi puntellatura o ancoraggio”. Nel motivare la condanna la Sez IV ha aggiunto che la legge “ha introdotto la figura del coordinatore per l’esecuzione al fine di assicurare, nel corso dell’effettuazione dei lavori stessi, un collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l’organizzazione della sicurezza in cantiere”  e che, in particolare, la norma “affida espressamente al coordinatore il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione  dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, con l’obbligo di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni”.

 

Particolarmente inquietante appare il profilo di responsabilità penale del CSE evidenziato dalla Cassazione Penale sezione IV sentenza n. 6219 del 12 febbraio 2009, ove, dichiarando inammissibile il ricorso contro la sentenza della corte d’appello proposto da un CSE condannato per il delitto di lesioni personali colpose ai danni di un lavoratore caduto dal tetto di un edificio di proprietà comunale, ha messo in evidenza la circostanza legata alla mancata informazione al CSE medesimo.

Il CSE si era recato in cantiere il giorno stesso dell’infortunio prima che l’evento si verificasse, ed aveva consentito che i lavori in elevazione fossero svolti “senza che venisse adottata alcuna opera provvisionale protettiva e senza che i lavoratori avessero a disposizione agganci di sicurezza”: “poiché la situazione del cantiere era palesemente in contrasto con le regole di prevenzione”, al CSE fu attribuita la colpa “in relazione alla violazione dei suoi obblighi perché “verificare” significa, appunto, controllare l’opera altrui e, nel caso di specie, obbligava ad intervenire se venivano riscontrate violazioni delle misure di prevenzioneNon ha esonerato il coordinatore da responsabilità neppure la mancata conoscenza, da parte sua, di un’inavvertita ripresa dei lavori sospesi da tempo, o il fatto che fosse entrata in cantiere una ditta senza che egli ne sia stato informato, in quanto il subordinare la centrale posizione di garanzia del coordinatore all’adempimento di oneri di informazione nei suoi confronti da parte degli altri soggetti tenuti al rispetto delle normative antinfortunistiche, avrebbe svuotato di contenuto gli obblighi incombenti sul coordinatore stesso.

La sentenza della Cassazione Penale, Sez. IV n. 38002 sentenza del 3 ottobre 2008, ha messo in evidenza che “i compiti del coordinatore codificati dal legislatore dimostrano che il rispetto delle prescrizioni di sicurezza da parte dei soggetti interessati è verificato dal coordinatore per l’esecuzione dei lavorinon in occasionali sopralluoghi, ma nel corso di costanti controlli misurati sulle fasi di lavorazione, in modo da evitare pericolosi vuoti di vigilanza, e da rendere effettiva, e non meramente eventuale, la tutela dei lavoratori” e che la responsabilità del coordinatore va individuata “nella duplice violazione della mancata verifica circa la sussistenza delle misure minime di sicurezza inerenti lo specifico lavoro di posa in opera delle lastre di marmo sulla scala in questione, e della mancata, immediata, sospensione dei lavori per assicurare l’adempimento delle previsioni del piano di sicurezza, con riferimento a quanto imposto”.

 

Gli obblighi ulteriori del coordinatore

Nei casi di cui dopo l’affidamento dei lavori a un’unica impresa, l’esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese,  il coordinatore per l’esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui sopra, redige il piano di sicurezza e di coordinamento e predispone il fascicolo per i lavori successivi (art. 92 comma 1 bis D. Lgs. n.  81/2008).

Occorre sottolineare che il compito prioritario e fondamentale  del Coordinatore per l’esecuzione è  quello “di acquisire gli elementi in grado di caratterizzare, sotto il profilo della sicurezza e della prevenzione, la qualità della/e impresa/e aggiudicataria/e dell’appalto”. Difatti l’idoneità tecnico-professionale non è data una volta per tutte, ma è soggetta a  variazioni eventuali correlate all’andamento dei lavori, e può anche venir meno, circostanza che il CSE dovrà adeguatamente verificare.

Come è noto le imprese, nonché le imprese o i lavoratori autonomi che parteciperanno ad eventuali subappalti, dovranno dimostrare la loro idoneità tecnica e professionale anche attraverso la produzione dei documenticontenuti nel seguente elenco, da considerarsi indicativo e non esaustivo:

  • certificato di iscrizione alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato;
  • dichiarazione sul tipo di contratto di lavoro applicato;
  • dichiarazione sul rispetto degli obblighi assicurativi e previdenziali;
  • Piano Operativo di Sicurezza (POS) per i soggetti obbligati, che contenga quantomeno:
  • elenco delle macchine, degli impianti e degli apprestamenti che verranno utilizzati in quel cantiere con descrizione, per ognuno, del livello di sicurezza raggiunto (marchio CE, verifica di rispondenza alle norme tecniche di sicurezza, libretto del ponteggio, libretto degli impianti di sollevamento, per il controllo periodico delle funi, per i ponteggi, per gli apparecchi a pressione ecc…). Per il rischio elettrico verrà richiesto all’impresa di fornire copia delle denunce e delle certificazioni obbligatorie;
  • elenco delle sostanze e preparati pericolosi che verranno utilizzati in quel cantiere con fornitura, per ognuno, delle schede di sicurezza;
  • individuazione analisi e valutazione dei rischi specifici per quel cantiere con individuazione delle soluzioni preventive da adottare;
  • rapporto di valutazione del rumore;
  • documentazione in merito alla formazione e all’informazione fornite ai lavoratori;
  • documentazione inerente l’idoneità lavorativa specifica dei lavoratori impiegati;
  • copia del registro degli infortuni;
  • eventuale altra documentazione di sicurezza richiesta dalla norma (es. disegno esecutivo e progetto del ponteggio, programma delle demolizioni, piano dei lavori di demolizione o di rimozione dell’amianto, etc.).

 

Il Coordinatore per l’esecuzione valuterà la documentazione fornita sia per meglio conoscere il livello di affidabilità delle imprese – e su questo eventualmente relazionare al Committente, o al responsabile dei lavori – sia per avallare (facendo eventualmente modificare) il/i POS ovvero (eventualmente) adeguare il PSC. Potrà altresì richiedere integrazioni sui vari punti o intervenire su particolari aspetti al fine di dover assicurare la coerenza dei Piani [punto 3.1 – Coordinamento delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano – Linee guida dell’1 gennaio 2000  per la redazione e l’applicazione del piano di sicurezza e coordinamento].

 

I compiti del coordinatore per l’esecuzione, rispetto al piano di sicurezza e coordinamento sono definiti dall’articolo 92 D.Lgs. n. 81/2008  e comunque è a suo carico stabilire e comunicare alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi:

  • ­le modalità di coordinamento previste (ad es. periodicità delle riunioni a cui partecipano le imprese e i lavoratori autonomi interessati);
  • le modalità di verifica del rispetto del piano (con verbale auspicabilmente corredato di fotografie delle visite in cantiere).

Inoltre si richiamano i compiti di:

  • far rispettare alle imprese e lavoratori autonomi il piano come parte integrante del contratto di appalto;
  • in caso di pericolo grave ed imminente sospendere immediatamente le lavorazioni interessate fino all’avvenuta messa in sicurezza;
  • in caso di varianti in corso d’opera o di variazioni di procedure operative adeguare le parti di PSC relative portandole a conoscenza delle imprese e dei lavoratori autonomi interessati [punto 3.2 – Coordinamento delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano – Linee guida dell’1 gennaio 2000  per la redazione e l’applicazione del piano di sicurezza e coordinamento ].

In relazione al Piano Operativo di Sicurezza di ogni impresa è compito del coordinatore per l’esecuzione:

  • verificare che il POS di ogni impresa sia congruente con il lavoro da svolgere;
  • verificare che sia nella sostanza rispettato;
  • coordinare i diversi POS delle imprese operanti in cantiere;
  • chiederne l’adeguamento qualora non risultasse congruente [punto 3.3 – Coordinamento delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano – Linee guida dell’1 gennaio 2000  per la redazione e l’applicazione del piano di sicurezza e coordinamento ].

 

Deve anche organizzare la cooperazione, il coordinamento e la reciproca informazione tra i diversi  datori di lavoro (che invece predispongono una programmazione delle misure di sicurezza) e i lavoratori autonomi che operano nel cantiere.

 

Con riguardo agli obblighi elencati dalla legge (artt. 90 e 91 D.Lgs. n. 81/2008) rispettivamente a carico del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione, la Cassazione (sentenza 7 luglio 2003 della III Sezione penale) utilmente precisa che, fra tali obblighi, “non è annoverato il controllo e la manutenzione degli impianti e dei dispositivi di sicurezza; tale obbligo, unito a quello di eliminare i difetti riscontrati, è di competenza del datore di lavoro delle imprese esecutrici “. Resta fermo, beninteso, che spetta comunque al coordinatore per l’esecuzione dei lavori – tra il resto – “verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro” (secondo quanto recita l’art. 91, comma 1, lettera a, D.Lgs. n. 81/2008).

 

 

 

 

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

 

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Conoscere la direttiva Seveso e i rischi di incidente rilevante

Le direttive europee “Seveso“, sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti in determinate attività industriali, hanno permesso in questi anni non solo di identificare i siti a rischio, ma anche di avere norme e piani specifici di prevenzione limitando le conseguenze di eventuali incidenti sulla salute umana e sull’ambiente. Incidenti, che come è stato, ad esempio, per gli eventi di Seveso e Bhopal, possono avere conseguenze molto gravi e, in alcuni casi, estendersi anche oltre i confini nazionali.

 

Tuttavia se la direttiva 96/82/CE, cosiddetta “Seveso II”, in questi anni ha garantito un elevato livello di protezione in tutta l’Unione Europea, è stato necessario adeguarla poi al nuovo sistema internazionale di classificazione delle sostanze chimiche, recepito con il regolamento CLP. E la successiva direttiva 2012/18/UE del 4 luglio 2012, la “Seveso III” – recepita in Italia con decreto legislativo n. 105 del 26 giugno 2015 – non solo ha allineato l’Allegato I (sostanze che rientrano nel campo di applicazione della direttiva) con le modifiche alla classificazione stabilite dal regolamento CLP, ma ha anche introdotto diverse novità per il controllo e la prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti connessi con l’utilizzo di sostanze pericolose.

 

Gli incidenti rilevanti e la direttiva 2012/18/UE

Proprio per far conoscere agli operatori e alle aziende la nuova direttiva europea e migliorare la gestione di questi rischi, l’Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro ( AiFOS) ha organizzato per il 31 maggio 2018 un corso a Brescia dal titolo “Conoscere la Direttiva Seveso. Nozioni base per la gestione del Rischio Incidente Rilevante”.

 

Il corso – rivolto a responsabili ed addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione, consulenti in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, formatori e coordinatori alla sicurezza – vuole essere una introduzione di primo livello alla direttiva Seveso III.

In particolare, si parte dalla comprensione dell’applicabilità della legge, con l’analisi dei soggetti coinvolti, gli adempimenti previsti e la loro differenziazione in funzione dei diversi livelli di applicabilità, per finire con le ricadute a valle sulle altre documentazioni in essere.

Si prosegue poi con l’apprendimento della metodologia di verifica di applicabilità, e verranno effettuate esercitazioni pratiche (a gruppi) volte ad acquisire dimestichezza sulla verifica di applicabilità degli stabilimenti.

 

Le novità della nuova direttiva europea e della normativa nazionale

Oltre agli aggiornamenti necessari per l’adeguamento alla nuova classificazione delle sostanze chimiche, ricordiamo che le principali novità introdotte dalla direttiva 2012/18/UE intendono:

  • migliorare e aggiornare la direttiva in base alle esperienze acquisite con la Seveso II, in particolare per quanto riguarda le misure di controllo degli stabilimenti interessati, semplificarne l’attuazione nonché ridurre gli oneri amministrativi;
  • garantire ai cittadini coinvolti un migliore accesso all’informazione sui rischi dovuti alle attività dei vicini impianti industriali “Seveso” e su come comportarsi in caso di incidente;
  • garantire la possibilità di partecipare alle decisioni relative agli insediamenti nelle aree a rischio di incidente rilevante e la possibilità di avviare azioni legali, per i cittadini ai quali non siano state fornite adeguate informazioni o possibilità di partecipazione.

Senza dimenticare poi le novità del D.lgs. 105/2015 relative al rafforzamento del ruolo di indirizzo e coordinamento espletato dal Ministero dell’ambiente, all’introduzione di una modulistica unificata per la trasmissione della notifica e altre informazioni o alle procedure per l’attivazione del meccanismo della “deroga”, previsto dalla direttiva 2012/18/UE per le sostanze non in grado, in determinate condizioni chimico-fisiche, di generare incidenti rilevanti.

 

Il programma del corso di Brescia

Il corso di 8 ore in presenza “Conoscere la Direttiva Seveso. Nozioni base per la gestione del Rischio Incidente Rilevante” si terrà dunque il 31 maggio a Brescia dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00 presso AiFOS Service in via Branze 45, c/o CSMT, Università degli studi di Brescia.

 

Il corso è valido come aggiornamento relativo a 6 ore per RSPP e ASPP di tutti i macrosettori ATECO e 3 ore per formatori prima area tematica e 3 ore per formatori seconda area tematica.

 

Il link per avere informazioni e iscriversi al corso…

 

Segnaliamo che le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, nonché le spese di viaggio e soggiorno, sono integralmente deducibili – entro il limite annuo di 10.000 euro – come previsto dall’articolo 9 della Legge 22 maggio 2017, n° 81 (cosiddetto “Jobs Act dei lavoratori autonomi”).

 

Per informazioni:

Sede nazionale AiFOS: via Branze, 45 – 25123 Brescia c/o CSMT, Università degli Studi di Brescia – tel.030.6595031 – fax 030.6595040 www.aifos.it – formarsi@aifos.it

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Responsabilità 231 per infortuni e MOG: le sentenze degli ultimi 6 mesi

Alcune sentenze della Cassazione Penale degli ultimi sei mesi si sono pronunciate sulla responsabilità amministrativa delle Società ai sensi del decreto 231/01 a seguito di infortuni sul lavoro per reati commessi da datori di lavoro e preposti.

Tra le violazioni che hanno causato gli infortuni e che fanno da sfondo alla valutazione sull’interesse o vantaggio della Società alla commissione del reato (in termini di “rapporto spesa-guadagno”, per usare le parole della Cassazione stessa), spiccano in modo particolare le gravi carenze in materia di valutazione dei rischi, adozione delle misure di prevenzione e protezione, formazione e vigilanza.

Si presenta di seguito una selezione di queste sentenze, senza pretese di esaustività, partendo dalla più recente fino alla più risalente.

 

CASSAZIONE PENALE, SEZ.IV, 16 APRILE 2018 N.16713

Reato commesso dal preposto e dal datore di lavoro conduce all’applicazione del 231 alla S.r.l. – Vantaggio dell’Azienda legato al risparmio derivante dalla mancata nomina dell’RSPP, mancata valutazione dei rischi e formazione. Cassazione Penale, Sez.IV, 16 aprile 2018 n.16713

 

Con questa recentissima sentenza la Cassazione conferma la condanna penale del datore di lavoro e del preposto di una S.rl. nonché la condanna della Società stessa ai sensi del D.Lgs. 231/01.

In particolare, “la vicenda riguarda l’infortunio mortale occorso nel settembre 2008 a T.S., dipendente della L., precipitato da un’altezza di dodici metri, a seguito dello sfondamento di una lastra di vetro resina posta sul tetto di un capannone ove il predetto T.S. si era portato per effettuare la manutenzione delle grondaie.”

 

Il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile dell’infortunio a causa della “omessa previsione nella redazione del documento di valutazione dei rischi, di quello connesso alla manutenzione dei capannoni ed allo svolgimento di lavorazioni in quota, nonché [del]la mancata nomina del RSPP”.

 

Il preposto è stato condannato “per aver omesso di vigilare sulla osservanza dei precetti imposti e sulla concreta attuazione delle misure di sicurezza nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze” e, più specificatamente, “per aver dato disposizioni al T.S. di eseguire i lavori sistemazione delle grondaie, benché quest’ultimo non avesse mai ricevuto adeguata formazione, né fosse mai stato informato dei rischi specifici connessi allo svolgimento di lavori particolarmente pericolosi, come quelli che si effettuano in quota; con ciò violando l’obbligo che grava sul preposto, ex art.19 lett.b) d.lgs.81/2008, di “verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zona che li espongono ad un rischio grave e specifico”.”

Inoltre egli “è stato ritenuto responsabile per non aver verificato che i pannelli in vetroresina non erano assolutamente calpestabili.”

 

La S.r.l. è stata condannata “per la cd. “colpa dell’organizzazione” generica e specifica e grave negligenza nella gestione, condannando l’impresa al pagamento della sanzione pecuniaria di 258.230,00 euro”. In particolare, è stata ritenuta “sussistente la colpa dell’organizzazione di impresa, con particolare riferimento alla mancata nomina del RSPP, alla omessa valutazione del rischio ed alla mancata formazione del lavoratore”.

 

L’INTERESSE O VANTAGGIO DELL’AZIENDA ALLA COMMISSIONE DEI REATI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SECONDO GLI ULTIMI ORIENTAMENTI

 

In questa sentenza la Cassazione ricorda che:

  • “Ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione).”
  • “Ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto…”.

 

Fatta tale premessa, nel caso specifico il presupposto per l’applicazione della responsabilità della persona giuridica è stato identificato nel “vantaggio economico indiretto, costituito dal risparmio dei costi non sostenuti, che la società ha tratto dalla mancata adozione delle misure di sicurezza richieste dalla legge per la prevenzione di infortuni sul lavoro (mancata nomina del RSSP, omessa valutazione del rischio specifico, messa in sicurezza del luogo di lavoro, mancata formazione professionale dei lavoratori addetti ecc.).”

 

Quanto alla condizione esimente dalla responsabilità amministrativa, la Cassazione ricorda che “la responsabilità dell’ente per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose commesse da suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro potrà essere esclusa soltanto dimostrando l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi (per i quali soccorre il disposto dell’art. 30 del d.lgs.n.81/2008) e l’attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l’aggiornamento e l’osservanza dei modelli adottati. Senonché nel caso di specie non risulta che l’ente abbia provato la sussistenza delle circostanze che avrebbero potuto escluderne la responsabilità ai sensi dell’art.6 d.lgs. n.231/2001.”

 

CASSAZIONE PENALE, SEZ.IV, 7 DICEMBRE 2017 N.54998

Reato di lesioni colpose ad un lavoratore commesso dalla datrice di lavoro per omessa valutazione del rischio e applicazione del 231 alla S.r.l. Cassazione Penale, Sez.IV, 7 dicembre 2017 n.54998

 

In questa sentenza viene confermata la condanna della datrice di lavoro di una S.r.l. operante nel settore delle costruzioni per aver cagionato la ferita da cui derivava una malattia superiore a 40 giorni al lavoratore dipendente, per colpa consistita nell’omessa valutazione del rischio derivante dall’utilizzazione del macchinario del banco sega. Viene condannata anche la S.r.l. ai sensi dell’art.25-septies del D.Lgs.231/01.

 

CASSAZIONE PENALE, SEZ.IV, 23 NOVEMBRE 2017 N.53285 

Reato commesso dal preposto e dal datore di lavoro conduce all’applicazione del 231 alla S.p.a. “L’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.” Cassazione Penale, Sez.IV, 23 novembre 2017 n.53285

 

Il datore di lavoro e il preposto di una S.p.a. sono condannati per aver “cagionato al lavoratore dipendente F.S., lesioni personali gravi consistite nella amputazione della falange distale 5° del dito della mano sinistra, con indebolimento permanente dell’organo, determinata da una improvvisa discesa di una delle losanghe del macchinario cui era addetto in qualità di assemblatore”. Viene condannata anche la S.p.a. ai sensi del D.Lgs.231/01.

 

Quanto alla dinamica dell’evento, “il lavoratore subiva il sopra descritto infortunio nel corso dell’espletamento delle sue mansioni di assemblatore di un sollevatore a forbice, mentre era intento allo smontaggio di un cilindro oleodinannico di spinta dalla struttura del sollevatore a forbice, senza averne assicurato la stabilità mediante l’inserimento di ostacoli di sicurezza, in modo quindi scorretto e difforme dalle modalità descritte nel manuale d’uso, nella convinzione che le losanghe non potessero ulteriormente abbassarsi e che il carroponte avrebbe sostenuto il peso del cilindro.”

 

Al datore di lavoro è stato contestato di non avere provveduto a “predisporre un documento di valutazione dei rischi che recasse l’individuazione della procedura per attuare le misure di sicurezza in fase di smontaggio del sollevatore a forbice, ad adottare adeguate misure tecniche e organizzative e a procedere alla formazione e informazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle operazioni di smontaggio del sollevatore”.

Al preposto è stato contestato “di non avere controllato che l’uso del macchinario fosse riservato a lavoratori dotati di informazione, formazione e addestramento adeguati.”

 

In merito alla formazione, la Cassazione precisa che “non poteva dirsi adeguatamente adempiuto l’obbligo di formazione e informazione del lavoratore, il quale, certamente esperto del “bene operare”, anche per merito datoriale, non lo era del “male operare”, avendo affermato che, al momento dei fatti, egli non sapeva che una volta abbassate le losanghe del macchinario, queste potessero, ove non trattenute da ostacoli di sicurezza, ulteriormente abbassarsi a causa del peso del cilindro.”

 

Riguardo alla responsabilità del preposto, la sentenza giudica “inidonei i richiami verbali, poiché non seguiti dall’adozione di provvedimenti, anche disciplinari.”

 

Quanto alla responsabilità della Società ai sensi del D.Lgs.231/01, la Cassazione specifica che vi è nel caso specifico un “rapporto di causalità tra la politica aziendale in materia antinfortunistica e il fatto di reato contestato agli imputati”.

Infatti “nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricollegato la responsabilità amministrativa dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto e alla inadeguatezza dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove, con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.”

 

La Società viene condannata “incombendo, in ogni caso, sull’ente l’onere – con effetti liberatori – di dimostrare l’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione adottati a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr. Sez.U.n.38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112)”; nel caso specifico un “onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza dell’esistenza di un documento, ritenuto inidoneo dai giudici di merito e di meri richiami verbali, ritenuti parimenti inadeguati.”

 

CASSAZIONE PENALE, SEZ.IV, 15 NOVEMBRE 2017 N.52129 

Appalti e responsabilità di più datori di lavoro e di una S.p.a. per l’infortunio ad un subappaltatore (autotrasportatore titolare di ditta individuale colpito da un carrello elevatore). Cassazione Penale, Sez.IV, 15 novembre 2017 n.52129

 

Questa la dinamica dell’infortunio: la T. s.p.a. “si avvaleva per i trasporti – da e per la sede di O. s.p.a.- della ditta S., che subappaltava la commessa a piccole imprese, quale quella della persona offesa del presente procedimento, B.M. (autotrasportatore titolare di ditta individuale), che faceva la spola fra le due aziende con i cassoni in ferro a forma di parallelepipedo destinati ad essere riempiti con particolari lavorati da O. da congegnare a T. Per le movimentazioni di tali contenitori, O. si avvaleva della ditta K., alle cui dipendenze lavorava il carrellista A.S., che, al momento dell’infortunio, stava procedendo alle operazioni di scarico, eseguite inforcando una pila di contenitori alla volta e, quindi, arretrando a bassa velocità con il carrello elevatore prima di ruotare per posizionarsi in parallelo al camion a forche abbassate in modo da consentire ad altro carrellista di prelevare il carico e portarlo alla sua destinazione finale.”

Dunque, “l’infortunio si è verificato durante lo spostamento di tre cassoni vuoti, che erano scivolati dalle forcole del carrello elevatore colpendo l’autista del camion il quale aveva riportato le lesioni di cui alla documentazione medica in atti: l’inchiesta infortuni su cui ha riferito in dibattimento l’ispettore R., ha evidenziato le pessime condizioni dei contenitori collocati sul camion di B.M. da personale T. a pile di tre alla volta, che ha determinato l’instabilità del carico e la sua caduta. Il B.M., escusso, ha ammesso di essersi avvicinato alla sponda del camion per rimettere a posto un piantone e togliere quello successivo, in modo tale che lo scarico delle pile di cassoni potesse proseguire senza soluzione di contiguità e ciò, senza attendere la conclusione della manovra che A.S. stava compiendo.”

 

Vengono condannati in cooperazione colposa fra loro il datore di lavoro della K., quello della T. e della O. per plurime violazioni inerenti alla mancata valutazione del rischio e all’omessa adozione di misure.

Viene condannata anche la T. S.p.a. ai sensi del D.Lgs. 231/2001 alla sanzione pecuniaria di €.40.000,00 (sanzione ridotta ai sensi dell’art.12 D.Lgs.231/01).

 

La sentenza sottolinea che se il datore di lavoro della T. S.p.a. “si fosse premurato dì effettuare periodici e seri controlli sullo stato dei contenitori metallici utilizzati per i rifornimenti di particolari lavorati da O. come prescritto dall’art.71 comma 8 D.lgs.81/2008, avrebbe dovuto da tempo rottamarne gran parte, come effettuato in ottemperanza alle prescrizioni dello S.Pre.S.A.L.”.

In particolare, “la responsabilità omissiva dell’imputato appare evidente, tenuto conto della frequenza delle movimentazioni di predetti cassoni che facevano continuamente la spola fra lo stabilimento T. e O., delle ripetute segnalazioni di non conformità effettuate dal responsabile della logistica [della] O., alle analoghe segnalazioni della K., e non potendosi ritenere surrogato il doveroso controllo ai fini della sicurezza il monitoraggio dei contenitori in funzione del Sistema Qualità”.

 

Dunque, quanto alla responsabilità della persona giuridica T. S.p.a., “la condanna di B.S. [datore di lavoro della T., n.d.r.] per il reato contestatogli costituisce il presupposto per la dichiarazione di responsabilità dell’ente, posto che non si versa nell’ipotesi di cui all’art.5, comma 2, D.Lgs.231/2001, trattandosi di condotta tenuta nell’interesse della società, che avrebbe dovuto affrontare oneri e costi aggiuntivi per adeguare i cassoni, né ricorrono le condizioni di esonero di responsabilità previste dall’art. 6 s.l., dato che non era stato adottato alcun modello organizzativo idoneo a prevenire reati come quello oggetto del presente procedimento”.

 

 

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

Scarica le sentenze di riferimento:

Cassazione Penale, Sez.IV, 16 aprile 2018 n.16713 – Reato commesso dal preposto e dal datore di lavoro conduce all’applicazione del 231 alla S.r.l. – Vantaggio dell’Azienda legato al risparmio derivante dalla mancata nomina dell’RSPP, mancata valutazione dei rischi e formazione.

 

Cassazione Penale, Sez.IV, 7 dicembre 2017 n.54998 – Reato di lesioni colpose ad un lavoratore commesso dalla datrice di lavoro per omessa valutazione del rischio e applicazione del 231 alla S.r.l.

 

Cassazione Penale, Sez.IV, 23 novembre 2017 n.53285 – Reato commesso dal preposto e dal datore di lavoro conduce all’applicazione del 231 alla S.p.a. “L’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno”

 

Cassazione Penale, Sez.IV, 15 novembre 2017 n.52129 – Appalti e responsabilità di più datori di lavoro e di una S.p.a. per l’infortunio ad un subappaltatore (autotrasportatore titolare di ditta individuale colpito da un carrello elevatore).

 

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Fonte: puntosicuro.it