Loading
Generic

La prevenzione del rischio negli impianti di gestione dei rifiuti

A seguito dei numerosi incendi che nell’ultimo periodo hanno interessato diversi impianti di gestione dei rifiuti, con conseguenti ripercussioni sulla gestione dell’intero sistema paese, è stato convenuto, in accordo con le Autorità territoriali e con gli Enti di controllo preposti, di individuare alcune aree di approfondimento per la definizione di criteri operativi utili per una gestione ottimale degli stoccaggi negli impianti che gestiscono rifiuti. Sono richiamati alcuni importanti concetti già ampliamente definiti nell’ambito delle linee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili in materia di gestione dei rifiuti in vigore, relative allo stoccaggio ed alla movimentazione dei rifiuti. Pertanto, di seguito si elencano percorsi utili per la gestione delle situazioni critiche, da implementare a cura delle Autorità preposte.

  1. Contesto autorizzativo degli stoccaggi dei rifiuti […]
  2. Prestazione delle garanzie finanziarie […]

 

  1. La prevenzione del rischio negli impianti di gestione dei rifiuti

L’attività svolta negli impianti di gestione dei rifiuti deve rispondere alla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché alle norme generali di prevenzione degli incendi, che impongono al datore di lavoro di valutare tutti i rischi connessi all’esercizio dell’impianto, adottando le conseguenti misure di prevenzione e protezione.

 

In tale contesto, all’innesco di un incendio nell’ambito di un impianto, come al verificarsi di una qualunque emergenza, devono seguire tutte le opportune azioni previste nel piano di gestione dell’emergenza, anche in conseguenza dei possibili rischi di natura chimicobiologica. Tuttavia, prioritariamente alla corretta gestione della fase operativa dell’emergenza, assume grande importanza l’attività della prevenzione del rischio, attraverso:

  • l’ottimizzazione delle misure organizzative e tecniche nell’ambito di ciascun impianto in cui vengono effettuati stoccaggi di rifiuti;
  • l’adeguata formazione del personale che opera negli impianti;
  • l’utilizzo di sistemi di monitoraggio e controllo;
  • l’adeguata manutenzione delle aree, dei mezzi d’opera e degli impianti tecnologici, nonché degli eventuali impianti di protezione antincendi.

 

Ovviamente la natura del rischio, e le conseguenti azioni di prevenzione da adottare, dipendono dalla tipologia di rifiuto e di attività che si svolgono all’interno di un determinato impianto. Analizzare le diverse casistiche esula dalle finalità del presente documento, che invece ha come scopo quello di definire in via generale le buone pratiche per una gestione ottimale degli impianti adibiti alla gestione dei rifiuti, e di fornire a tutte le autorità in grado di eseguire attività di controllo, adeguati strumenti anche per verifiche di tipo più speditivo.

 

Indubbiamente una migliore organizzazione della viabilità interna e degli spazi, di modo da differenziare le aree di lavoro, oltre a limitare l’incidenza dei rischi infortunistici può anche contribuire a mitigare altre tipologie di rischio o, quantomeno, a contenere i danni in caso di incendio, soprattutto se è prevista una vera e propria compartimentazione di tali aree.

 

In questo senso, differenziare le aree destinate allo stoccaggio dei rifiuti per categorie omogenee, in relazione alla diversa natura delle sostanze pericolose eventualmente presenti, rappresenta un’azione di prevenzione fondamentale.

 

Anche una corretta modalità di stoccaggio dei rifiuti, differenziata in base alla loro natura solida o liquida, si inserisce nel quadro generale dell’azione di prevenzione del rischio.

 

Mentre i rifiuti liquidi devono essere stoccati in serbatoi ovvero contenitori a norma, in possesso di adeguati requisiti di resistenza, in relazione alle proprietà chimico-fisiche ed alle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti stessi, opportunamente etichettati e dotati dei sistemi di sicurezza, con particolare riferimento al posizionamento in bacini a tenuta per contenimento di eventuali sversamenti in fase di movimentazione dei contenitori o di rottura dei medesimi, i rifiuti di natura solida possono essere stoccati anche in cumuli di altezza variabile.

 

Per evitare eventuali fenomeni di autocombustione, ovvero ridurre i rischi e i danni conseguenti a possibili incendi o crolli, è opportuno garantire un’adeguata ventilazione degli ambienti, limitare le altezze dei cumuli, e assicurare che i quantitativi di rifiuti in ingresso all’impianto siano limitati a quelli autorizzati, ed effettivamente gestibili.

 

A questo occorre aggiungere che il personale nell’impianto deve essere adeguatamente formato, anche in relazione al contrasto del rischio incendio, di modo da svolgere le specifiche attività nel pieno rispetto delle norme di sicurezza sotto la supervisione di un direttore operativo cui spetta un ruolo di controllo generale.

 

Negli impianti deve essere sempre presente e funzionante l’impianto antincendio, ed essere effettuati regolari controlli a cura dello stesso gestore, anche attraverso sistemi di monitoraggio in continuo.

 

Risulta, infatti che, se i rifiuti vengono mantenuti entro livelli di temperatura e umidità appropriati per il relativo processo, i rischi di combustione spontanea possono essere limitati al minimo, in particolare laddove il trattamento avvenga all’aperto.

 

Infine, ma non a titolo esaustivo, è fondamentale che il gestore assicuri la regolare manutenzione delle aree, sia adibite agli stoccaggi sia all’eventuale trattamento dei rifiuti, e degli impianti in base alle cadenze stabilite dal costruttore ovvero dalla legge.

 

Tutte queste attività che caratterizzano nel loro insieme l’azione di prevenzione, possono essere inserite sotto forma di prescrizioni gestionali da richiamare negli atti autorizzativi o nelle autocertificazioni per l’inizio di attività, meglio analizzate nel successivo capitolo.

 

Da ultimo si evidenzia che le operazioni di stoccaggio sono finalizzate alla costituzione di idonee partite sia per tipologia che, soprattutto, per quantità destinate al trasporto presso impianti che effettuano le successive operazioni di recupero/smaltimento.

 

Lasciare che lo stoccaggio sia procrastinabile all’infinito non può che ingenerare rischi di:

  1. abbandono del cumulo rifiuti per aumento nel tempo dei costi di smaltimento non coperti dagli introiti del primo ritiro;
  2. aumento della possibilità che si inneschino reazioni che modifichino la natura del rifiuto, del suo pericolo intrinseco o che intacchino l’integrità del contenitore.

 

Si ritiene pertanto indispensabile porre un limite temporale allo stoccaggio delle singole partite di rifiuto in ingresso all’impianto. Peraltro la mera operazione di stoccaggio non può dare origine a rifiuti di natura e/o CER diversi e pertanto i tempi di sosta sono facilmente verificabili attraverso i registri di carico e scarico.

 

 

Il documento prosegue con molte indicazioni importanti e chiare che vi invitiamo a leggere:

 

  1. Prescrizioni generali da richiamare negli atti autorizzativi […]

5.1 Ubicazioni degli impianti […]

5.2 Organizzazione e requisiti generali degli impianti in cui vengono effettuati stoccaggi di rifiuti […]

5.3 Impianti tecnologici e sistemi di protezione e sicurezza ambientale. […]

 

  1. Modalità di gestione […]

Il direttore tecnico, che deve essere sempre presente in impianto, assicura, ovvero collabora con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (laddove tali figure non siano coincidenti) affinché nella gestione operativa delle attività presso l’impianto sia data attuazione a tutte le disposizioni di sicurezza previste dalla norma specifica di settore.

 

6.1 Modalità e accorgimenti operativi e gestionali […]

  1. Controlli […]

 

 

Tratto da:

Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare – Circolare 15 marzo 2018 – Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi.

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Studio: chi pratica sport per tutta la vita invecchia più tardi

Un gruppo di anziani fa esercizio fisico in Giappone (Getty Images)

Secondo una ricerca pubblicata su “Aging Cell”, l’esercizio fisico praticato nell’arco degli anni riduce il decadimento muscolare, immunitario e, in generale, dell’organismo

L’esercizio fisico, praticato per anni fino ad età avanzata, aiuta l’organismo a mantenersi sano: è quanto ha dimostrato uno studio del King’s College di Londra e pubblicato sulla rivista “Aging Cell”.

La ricerca

Lo studio ha monitorato le condizioni di salute di 125 ciclisti amatoriali di età compresa fra i 55 e i 79 anni, 84 uomini e 41 donne. I partecipanti dovevano dimostrare la capacità di percorrere 100 chilometri in bici nel giro di 6,5 ore se uomini, oppure 60 chilometri in 5,5 ore se donne. I soggetti del test (selezionati fra non fumatori e non bevitori abituali di alcolici) sono stati confrontati con un gruppo di adulti sani, di età compresa fra i 57 e gli 80 anni, che però non fanno regolare attività fisica. Un ultimo gruppo di confronto è stato formato con giovani adulti di età compresa fra i 20 e i 36 anni.

I risultati

I benefici a lungo termine dell’attività sportiva si sono visti sotto numerosi aspetti. E’ risultata ridotta la perdita di massa muscolare e di forza, migliori sono i livelli di colesterolo nel sangue e di grasso corporeo. Sul fronte ormonale, invece, sono risultati più elevati i livelli di testosterone, il cui declino è connesso all’andropausa. Il risultato meno prevedibile riguarda la salute del sistema immunitario, laddove il timo (organo del sistema linfatico che produce i linfociti di tipo T), produce gli stessi livelli di linfociti T del gruppo dei soggetti giovani.

Il commento

“Le nostre scoperte contraddicono il preconcetto che l’invecchiamento ci rende automaticamente più fragili”, ha detto la coautrice Janet Lord (Università di Birmingham), “la nostra ricerca rende evidente che incoraggiare le persone a impegnarsi in un’attività fisica regolare per tutta la vita è un modo per affrontare l’invecchiamento mantenendo un organismo più sano”. Il professor Stephen Harridge, direttore del Centro di scienze fisiologiche presso il King’s College, ha aggiunto che “i risultati sottolineano come i ciclisti non si allenino perché sono sani, ma sono sani perché hanno esercitato tale attività per una grande parte della loro vita” e per questo sono invecchiati “in modo ottimale, e liberi dai problemi solitamente causati dall’inattività”.

 

Fonte: tg24.sky.it

Generic

CLUSIT: cresce l’industria del cybercrime nei primi sei mesi dell’anno

  • +8,35% di attacchi informatici gravi a livello globale rispetto al semestre precedente 
  • Aumentano del 253% gli attacchi verso “bersagli multipli indifferenziati” condotti da un’unica forza criminale, secondo una logica “industriale”
  • L’Europa è l’unico continente dove cresce la percentuale di vittime 
  • Utilizzati soprattutto Malware (+86%, di cui oltre un terzo Ransomware) e tecniche di Phishing/Social Engineering (+85%)
  • Gli smartphone nel mirino: sempre più diffusi malware specifici per tutte le piattaforme

 

Definito “l’Annus Horribilis” della sicurezza informatica, il 2016 ha in realtà ben presto perso il triste primato: la nuova edizione del Rapporto Clusit sulla sicurezza ICT – presentata oggi a Verona nel corso di Security Summit – illustra i dati relativi al primo semestre 2017 e fotografa una situazione decisamente più grave. Da gennaio a giugno di quest’anno, infatti, sono stati 571 gli attacchi gravi di dominio pubblico (ovvero attacchi che hanno avuto un impatto significativo per le vittime, in termini di danno economico, reputazione e diffusione di dati sensibili [1]), che corrispondono ad una crescita dell’8,35% rispetto al secondo semestre 2016.

Gli autori del Rapporto Clusit evidenziano che il primo semestre 2017 è stato il peggiore di sempre, confermando una inesorabile tendenza ascendente dal 2011 ad oggi.

 

“Nel primo semestre 2017 la cyber-insicurezza ha effettuato un ‘salto quantico’ a livello globale, raggiungendo livelli in precedenza inimmaginabili”, afferma Andrea Zapparoli Manzoni, membro del Comitato Direttivo Clusit – Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica – e tra gli autori del Rapporto Clusit 2017.  “

 

 

Questo a fronte di investimenti in Sicurezza ICT ancora del tutto insufficienti rispetto al valore del mercato di beni e servizi ICT, nonché alla percentuale di PIL generato tramite l’applicazione dell’ICT da parte di organizzazioni pubbliche e private e dai privati cittadini”.

 

“E’ quindi necessario mettere a punto un nuovo modello di investimenti in Cyber Security, commisurandoli adeguatamente alle minacce attuali. Pena una crescente e significativa erosionedei benefici attesi dal processo oggi in atto di digitalizzazione della società”, conclude Zapparoli Manzoni.

 

I dati presentati oggi dagli esperti Clusit evidenziano una situazione diffusa globalmente: qualsiasi organizzazione, indipendentemente dalla dimensione o dal settore di attività, è a rischio concreto di subire un attacco informatico di entità significativa entro i prossimi 12 mesi.

Oltre il 50% delle organizzazioni nel mondo – si rileva nel Rapporto Clusit aggiornato al primo semestre 2017 – ha subìto almeno un attacco grave nell’ultimo anno.

 

Gli attacchi nel primo semestre 2017: le cause

Sottostima dei rischi e investimenti insufficienti in sicurezza cyber sono le principali cause della curva ascendente dei crimini informatici negli ultimi sei mesi. Contestualmente, si assiste all’inarrestabile espansione della superficie di attacco esposta dalla nostra società digitale: la rapida diffusione di smart working, che si avvale di strumenti quali mobile, cloud e social, spesso utilizzati in maniera indiscriminata mescolando profili personali e lavorativi, e dell’Internet of Things, con apparecchiature per lo più prive delle più elementari misure di sicurezza, costituiscono punti di accesso sempre più immediati verso i sistemi informativi delle organizzazioni. Da evidenziare che ciò avviene oggi anche in contesti produttivi, quali l’Industry 4.0, e per applicazioni critiche come e-health e smart-city.

 

Gli attacchi nel primo semestre 2017: gli obiettivi

E’ il Cybercrime la prima ragione di attacchi gravi nei primi sei mesi dell’anno: i criminali colpiscono le loro vittime nel 75% dei casi con l’obiettivo di estorcere denaro. Questa tipologia di attacco ha registrato una crescita del 13,26% rispetto ai sei mesi precedenti.

In aumento – a tre cifre, sempre sul confronto con la seconda metà del 2016 – anche i crimini riferibili al Cyber Espionage (+126%). Rispetto al secondo semestre 2016, nei primi sei mesi di quest’anno la crescita percentuale maggiore di attacchi gravi si osserva verso la categoria dei cosiddetti “Multiple Targets” (+253%), che esplicita il crescente numero di attacchi compiuti in parallelo dallo stesso attaccante contro numerose organizzazioni appartenenti a categorie differenti. Seguono i settori “Research/Education” (+138%) e Infrastrutture Critiche (+23%) seguite da “Banking/ Finance” (+12%). Da segnalare la crescita (+16%) dei crimini informatici verso la categoria “Ricettività” (hotel, ristoranti, residence e collettività), che hanno tipicamente la finalità di colpirne i clienti finali.

 

Gli attacchi nel primo semestre 2017: le tecniche d’attacco

Gli attacchi sferrati con malware comune sono stati nel primo semestre 2017 il 36% del totale, in crescita del 86% rispetto al secondo semestre 2016.  Scendendo nel dettaglio, il 27% degli attacchi realizzati tramite malware nel primo semestre dell’anno è stato compiuto utilizzando ransomware; il 20% tramite malware specifico per piattaforme mobile (7% iOS, 13% Android), fenomeno in rapida crescita. Questo trend preoccupa molto gli esperti Clusit, che evidenziano come la maggior parte di questi sistemi non sia provvista di alcuna protezione.

Appare evidente dall’analisi delle tecniche di attacco la sempre maggiore facilità nel reperire strumenti offensivi anche molto sofisticati sul mercato nero e la loro crescente accessibilità in termini economici, secondo logiche prettamente “industriali”.

Crescono nel primo semestre dell’anno significativamente rispetto agli ultimi sei mesi del 2016 “Phishing e Social Engineering” (+85%).

 

Gli attacchi nel primo semestre 2017: la distribuzione delle vittime

Come in passato, anche nel primo semestre di quest’anno è il settore governativo a mantenere il primo posto assoluto nell’elenco delle vittime, con un quinto degli attacchi (19%), insieme alla categoria “Multiple Targets” (19%). Segue la categoria “Entertainment/News” (12%), poi “Research/Education” (9%), “Online Services/Cloud” (9%) e “Banking/Finance” (8%).

A livello geografico, sono in aumento gli attacchi verso realtà basate in Europa (dal 16% del secondo semestre 2016 al 19% del primo semestre 2017); crescono significativamente anche quelli verso realtà multinazionali (dall’11% al 22%), ad indicare la tendenza dei cyber criminali a colpire bersagli sempre più importanti, di natura transnazionale.

Rispetto al secondo semestre 2016, nel primo semestre 2017 diminuiscono invece le vittime di area americana (dal 55% al 47%) ed asiatica (dal 16% al 10%).

 

 

Tratto da “ CLUSIT: cresce l’industria del cybercrime nei primi sei mesi dell’anno” (pdf)

[1] Dal conteggio degli attacchi gravi del primo semestre 2017 sono stati esclusi moltissimi “incidenti minori”, così da evitare il confronto disomogeneo tra quelli che hanno causato la perdita ingenti somme di denaro e/o quantità di informazioni e attacchi di lieve entità o verso un numero limitato di soggetti. Anche questo genere di attacchi è tuttavia in rapida crescita. Gli esperti Clusit evidenziano inoltre che il numero di attacchi informatici gravi è calcolato su un campione necessariamente limitato, pur significativo, poiché la maggior parte delle aggressioni non divengono mai di dominio pubblico (mancando ancora una normativa che renda obbligatorio darne notifica), o lo diventano ad anni di distanza.

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Campi elettromagnetici: le criticità riscontrate nelle aziende

Bologna, 5 Mar – Il rischio da esposizione a campi elettromagnetici (CEM) è un “argomento complesso” e ancora poco conosciuto “per quanto riguarda i reali effetti sulla salute e i meccanismi di esplicazione di tali effetti”. E per questa ragione è importante che in sede di vigilanza si verifichi “che i lavoratori e tutte le figure coinvolte nel sistema di sicurezza aziendale siano consapevoli delle procedure di valutazione e prevenzione del rischio, ed abbiano una adeguata informazione e formazione sui corretti comportamenti da adottare in tutte le attività in prossimità di sorgenti rilevanti sotto il profilo dell’esposizione a CEM”.

Tali aspetti assumono particolare rilevanza specialmente “in ambito sanitario ed industriale ove sono correntemente utilizzati apparati quali saldatrici ad arco, smagnetizzatori, elettrobisturi, defibrillatori, stimolatori neurologici, apparati per magnetoterapia, diatermia etc. che emettono campi elettromagnetici di interesse protezionistico e che possono avere effetti gravi su soggetti con controindicazioni all’esposizione, quali portatori di pacemaker e protesi impiantate, donne in gravidanza, etc”.

 

I criteri per un’efficace vigilanza in materia di campi elettromagnetici

Ad affrontare in questi termini il tema del rischio CEM e della vigilanza necessaria è un intervento che si è tenuto al convegno “dBAincontri2016 – Campi Elettromagnetici nei luoghi di lavoro. Legislazione, Valutazione, Tutela” (Bologna, manifestazione “Ambiente Lavoro”, 21 ottobre 2016).

 

L’intervento “Rischio CEM nei luoghi di lavoro: criteri per un’efficace vigilanza” – a cura di Iole Pinto, Andrea Bogi e Nicola Stacchini (Laboratorio di Sanità Pubblica, Usl Toscana Sud-Est, Siena) e presente in una pubblicazione che raccoglie gli atti del convegno – vuole “illustrare alcuni aspetti chiave che orientino ad una corretta ed efficace vigilanza ai fini della prevenzione e protezione del rischio da campi elettromagnetici [0 Hz- 300 GHz], alla luce del recepimento della Direttiva europea 2013/35/UE per la protezione dei lavoratori dall’esposizione a campi elettromagnetici nei luoghi di lavoro”.

 

L’intervento fa riferimento all’intero quadro normativo, ma non ancora all’effettivo recepimento – avvenuto poco prima del convegno –  della Direttiva 2013/35/UE con il Decreto legislativo del 01 agosto 2016, n. 159 che ha opportunamente modificato ed integrato il Titolo VIII Capo IV del D.lgs. 81/2008. E ricordiamo che, come indicato sul sito Portale Agenti Fisici, coerentemente con gli scopi della direttiva europea, il Decreto Legislativo 159/2016“non riguarda la protezione da eventuali effetti a lungo termine, per i quali mancano dati scientifici conclusivi che comprovino un nesso di causalità, né i rischi conseguenti al contatto con i conduttori in tensione (art. 206, comma 2) questi ultimi già coperti dalle norme per la sicurezza elettrica”.

 

L’intervento riporta diverse indicazioni per la vigilanza nei luoghi di lavoro, ad esempio con riferimento all’individuazione dei lavoratori professionalmente esposti e all’individuazione delle sorgenti di rischio CEM.

 

L’azione di vigilanza con rischio CEM

Riguardo alla vigilanza in presenza del rischio CEM si indica che “l’azione di vigilanza nei luoghi di lavoro ove siano presenti macchinari o impianti emettitori di campi elettromagnetici potenzialmente nocivi, dovrebbe essere prettamente rivolta ad appurare se, a seguito della valutazione del rischio, siano state effettivamente attuate un insieme di misure di tutela di tipo organizzativo e procedurale, al fine di:

  • prevenire l’esposizione di individui con controindicazioni;
  • ridurre al minimo l’esposizione dei lavoratori;
  • rispettare i valori limite applicabili per le differenti categorie di soggetti che operano in prossimità delle sorgenti”.

E si riportano anche le principali misure di tutela che sono “comuni alla maggior parte delle situazioni espositive e la cui attuazione dovrebbe essere attentamente presa in esame ai fini di un’efficace azione di vigilanza”.

 

Disposizione delle postazioni nelle aree di lavoro

Ad esempio si indica che è necessario che gli apparati emettitori di campi elettromagnetici di interesse protezionistico “siano installati in aree di lavoro adibite esclusivamente al loro uso, poste a idonea distanza dalle altre aree di lavoro ove il personale staziona per periodi prolungati. In relazione alle caratteristiche del campo disperso, può essere necessario evitare la presenza, in prossimità della sorgente, di oggetti costituiti da determinati materiali (come ad esempio materiali ferromagnetici in presenza di intensi campi  magnetostatici per prevenire il rischio di proiezione di oggetti, ovvero di oggetti metallici all’interno di campi CEM variabili, per prevenire correnti di contatto indotte sugli stessi) e/o di apparecchiature che potrebbero interferire con il funzionamento della sorgente, o essere esse stesse soggette a interferenze”.

E comunque, in generale, “chi effettua la valutazione del rischio dovrà identificare, intorno ad ogni sorgente, un’area ad accesso controllato (in contrapposizione alle altre aree, che saranno ad accesso libero) all’interno della quale i livelli di campo elettromagnetico sono tenuti sotto osservazione e dove vengono evidenziate, mediante il procedimento di zonizzazione sotto descritto, le eventuali zone dove è possibile che siano superati i limiti per la popolazione e i limiti occupazionali. La conformazione e l’estensione di queste zone dipendono ovviamente dalle caratteristiche dell’apparecchiatura coinvolta”.

Nell’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, vengono poi fornite diverse informazioni sulla zonizzazione.

 

Informazione, formazione ed addestramento dei lavoratori

Si sottolinea che è importante fornire ai lavoratori e alle figure coinvolte nel sistema di sicurezza “una corretta informazione e formazione, soprattutto in quei settori dove sono possibili esposizioni rilevanti e prolungate. Questo aspetto deve essere considerato a tutti gli effetti parte delle misure di tutela per la salute e sicurezza dei lavoratori”.

Ad esempio è importante verificare, in sede di vigilanza, “che il personale sia stato formato sugli aspetti seguenti:

  • condizioni di controindicazione individuale all’esposizione a campi elettromagnetici;
  • appropriate modalità di utilizzo degli apparati al fine di ridurre l’esposizione per i lavoratori ed i soggetti terzi: a tale riguardo è importante prendere in esame quanto prescritto sul manuale di istruzione ed uso dello specifico apparato e se tali raccomandazioni siano state recepite o meno nell’ambito del rapporto di valutazione dei rischi e siano state adeguatamente comunicate ai lavoratori;
  • corretti comportamenti da adottare in prossimità delle sorgenti; questi possono comprendere anche limitazioni all’introduzione di oggetti metallici o di apparecchiature elettriche all’interno dell’area controllata;
  • modalità di accesso alle zone ad accesso regolamentato”.

 

Le criticità frequentemente riscontrate

Concludiamo questo breve e parziale excursus attraverso la vigilanza in materia CEM, riportando alcune informazione dei relatori sulle criticità spesso riscontrate.

 

Si indica che la maggior parte delle criticità attualmente riscontrabili in sede di vigilanza nei luoghi di lavorocon presenza di rischio CEM, sono in genere relative ai seguenti aspetti:

  1. “omissione della verifica del rispetto dei livelli di riferimento per la popolazione generale: spesso le valutazioni dell’esposizione in prossimità delle sorgenti si limitano alla verifica del rispetto dei livelli di azione per i lavoratori cui al D.Lgs. 81/08, senza considerare che ciò non è sufficiente per tutelare tutte le categorie di lavoratori che a qualsiasi titolo accedano nell’ambiente di lavoro con esposizione a CEM, con possibili gravi conseguenze per la salute e sicurezza per soggetti con controindicazioni all’esposizione. Si tratta di una grave omissione, considerato che potrebbero trovarsi a stazionare o transitare inconsapevolmente in aree ove si riscontrano livelli di esposizione a CEM superiori ai livelli di riferimento per la popolazione generale soggetti con controindicazione all’esposizione, quali lavoratrici in gravidanza, lavoratori portatori di pacemaker o dispositivi elettronici impiantati etc”;
  2. “i rapporti di valutazione del rischio raramente fanno riferimento a quanto riportato nei manuali di istruzione ed uso dei macchinari; questa criticità si riscontra anche nei casi in cui i manuali di istruzione ed uso dei macchinari, in ottemperanza alle norme di prodotto, riportino le indicazioni sul corretto impiego del macchinario ai fini della riduzione del rischio CEM per l’operatore”. A tal proposito si ricorda che sia i macchinari che rientrano nel campo di applicazione della Direttiva Macchine, che gli elettromedicali, “per poter essere conformi al marchio CE devono essere forniti di un manuale contenente tutte le informazioni necessarie per un utilizzo sicuro in relazione alle radiazioni emesse, incluse le radiazioni fortuite, la corretta installazione, le avvertenze e/o le precauzioni da prendere per l’uso, le specifiche istruzioni di utilizzazione ed una pertinente etichettatura. Queste informazioni rappresentano il punto di partenza basilare sia per la valutazione del rischio CEM che per eventuali misurazioni di emissioni”;
  3. “anche in conseguenza di quanto precedentemente esposto al punto b), si riscontra spesso che gli operatori adottino metodiche di lavoro tali da incrementare l’esposizione personale a campi elettromagnetici, ad esempio mantenendo a contatto con il corpo i cavi di collegamento degli elettrodi come nel caso di saldatrici ad arco o apparati per diatermia, oppure stazionando in aree ad elevato campo, o ancora introducendo in aree ad elevato campo oggetti metallici.  Tali comportamenti dimostrano una palese carenza sulla formazione e sull’addestramento dei lavoratori ai fini della prevenzione del rischio CEM e in genere una inadeguata valutazione del rischio CEM”;
  4. “in alcuni casi le valutazioni dell’esposizione ed il confronto con i limiti per segnali con forma d’onda complessa riscontrate in sede di vigilanza risultano effettuate misurando l’esposizione ad un’unica frequenza (es. 50 Hz) e facendo riferimento ai limiti valevoli per tale frequenza, senza considerare le altre componenti in frequenza del segnale, o, ancor peggio, non considerando i valori di picco istantaneo dei campi, nel caso di segnali impulsivi. In questi casi di erronea misurazione sono riportati i valori di campo elettrico o magnetico invece di fare riferimento ad indici espositivi percentuali”;
  5. “valutazioni del rischio con misure di esposizione effettuate per sorgenti giustificabili a priori (es. macchine da ufficio, computer etc)”. Tali misurazioni, oltre ad essere inutili per sorgenti giustificabili a priori, “sono spesso riportate senza che si sia verificato se l’attrezzatura sia dichiarata conforme al pertinente standard di prodotto e ne sia stato preso in esame il manuale di istruzioni ed uso”;
  6. “rapporti di valutazione del rischio CEMche si limitano a riportare misure di esposizione e non presentano alcun un programma di riduzione o controllo del rischio, anche in presenza di sorgenti con livelli di esposizione superiori ai livelli di azione per i lavoratori”.

 

In definitiva si indica che l’azione di vigilanza “sarà tanto più efficace quanto più sarà tesa a perseguire l’adeguamento del mercato a macchinari che garantiscano la piena conformità delle emissioni CEM alle specifiche norme di prodotto e nel contempo la riduzione del rischio da esposizione a campi elettromagnetici in quei luoghi di lavoro ove tale rischio è ancora rilevante”.

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena, “ dBAincontri2016 – Campi Elettromagnetici nei luoghi di lavoro. Legislazione, Valutazione, Tutela”, pubblicazione che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno (Bologna, 21 ottobre 2016) e a cura di S.Goldoni, P.Nataletti, N.Della Vecchia, O.Nicolini (formato PDF, 9.01 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ Campi Elettromagnetici nei luoghi di lavoro”.

 

 

Scarica la normativa di riferimento:

Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea – Direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013 – Disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (ventesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) che ha abrogato la direttiva 2004/40/CE a decorrere dal 29 giugno 2013.

 

Decreto legislativo 1 agosto 2016, n. 159 – Attuazione della direttiva 2013/35/UE sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) e che abroga la direttiva 2004/40/CE. (16G00172).

 

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sui rischi correlati ai campi elettromagnetici

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Sulla corretta individuazione delle responsabilità per un infortunio

E’ interessante questa sentenza della Corte di Cassazione in quanto la stessa, chiamata a rispondere di un infortunio occorso a un lavoratore in un cantiere edile, dopo un’analisi corretta e approfondita fatta sulla posizione di garanzia dei singoli imputati, ha sostanzialmente riepilogato quella che può ormai ritenersi una posizione consolidata della giurisprudenza sulla responsabilità che è da addebitare sia alla figura del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP) e di esecuzione (CSE) nei cantieri temporanei o mobili che del datore di lavoro dell’impresa affidataria che gestisce una struttura aziendale complessa, con tanti cantieri aperti e con una organizzazione di preposti, e che comunque non interferisce nell’esecuzione dei lavori impartendo istruzioni e direttive o esercitando una continua ingerenza.

 

Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ha ribadito la suprema Corte quanto ha più volte sostenuto in precedenti espressioni, è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione del lavoro, svolge compiti di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale e in tal senso la stessa Corte ha richiamato tutti gli obblighi che il legislatore gli ha imposti e contenuti nell’art.92 del D. Lgs.9/4/2008 n.81. Non è anche tenuto invece, ha proseguito, ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, controllo questo demandato ad altre figure operative, quali il datore di lavoro, il dirigente e il preposto.

 

Il datore di lavoro, da parte sua, è titolare di una posizione di garanzia e responsabile del rispetto della normativa antinfortunistica e se gestisce una struttura aziendale complessa e con tanti cantieri in atto e ha provveduto a organizzare la sicurezza con la nomina di altrettanti preposti, va escluso da ogni profilo di colpa per l’infortunio occorso a un lavoratore se questo non è derivato da scelte gestionali di fondo o da difetti strutturali dallo stesso conosciuti o conoscibili, ma è derivato invece da una decisione estemporanea assunta nello svolgimento dei lavori del cantiere e dunque di carattere meramente occasionale allorquando la gestione del rischio è quindi riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto (ha fatto riferimento in tal senso alle sentenze Sez.4 n. 22606 del 4/4/2017 e n. 24136 del 6/5/2016).

 

Nel caso in esame la Corte di Appello ha annullata una sentenza di condanna emessa dal Tribunale nei confronti di un coordinatore per la sicurezzain fase di esecuzione e del datore di lavoro di un’impresa affidataria. La suprema Corte su ricorso presentato dal Procuratore Generale della Corte di Appello che ne aveva chiesto l’annullamento, alla luce delle considerazioni e dei principi sopra esposti, ha rigettato il ricorso confermando così l’assoluzione sia del coordinatore che del datore di lavoro. Un insegnamento che si ritiene in linea con le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e da seguire.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione

Il datore di lavoro e il direttore tecnico di un’impresa affidataria, il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione e il titolare di un’impresa subappaltatrice sono stati condannati dal Tribunale quali responsabili dell’infortunio sul lavoro occorso a un dipendente della ditta subappaltatrice che aveva subito lesioni personali con postumi invalidanti permanenti.

 

Secondo l’ipotesi accusatoria, il giorno dell’infortunio il dipendente della ditta subappaltatrice alla quale alla quale erano stati affidati dei lavori di carpenteria in un cantiere installato per la realizzazione di parcheggi interrati a servizio di una struttura medica privata, mentre si trovava su un tavolato sprovvisto di idonea protezione perché il parapetto era mancante del corrente superiore e della fascia fermapiede, era caduto da un’altezza di circa tre metri riportando gravi fratture, l’indebolimento permanente del sistema nervoso centrale e dell’organo della deambulazione.

 

Oltre ad un addebito di colpa generica, erano state contestate agli imputati specifiche violazioni di norme antinfortunistiche e precisamente al coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione di non aver adeguato il piano di sicurezza e coordinamento all’evoluzione dei lavori e alle modifiche intervenute per adeguare la sicurezza in cantiere, e di avere omesso le opportune azioni di coordinamento e controllo per l’applicazione di corrette procedure di lavoro dell’impresa esecutrice, in violazione dell’art. 92, comma 1 lett. a) e b) del D. Lgs. n.81/2008; al datore di lavoro dell’impresa affidataria di non aver vigilato sul corretto espletamento delle attività di direzione attribuite al suo dipendente direttore tecnico di cantiere e di non avere verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati all’impresa esecutrice, né l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano operativo di sicurezza, in violazione dell’art. 97, comma 1, dello stesso D. Lgs.; all’incaricato della direzione del cantiere (preposto) di non aver vigilato sull’osservanza delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dal contratto di subappalto (in particolare, di non aver verificato che prima dell’esecuzione dei lavori in altezza fossero state predisposte tutte le protezioni per impedire cadute accidentali nel vuoto) e di avere inoltre omesso di informare il datore di lavoro dell’impresa esecutrice della mancata osservanza degli obblighi di legge, in violazione dell’art. 19, comma 1 lett. a) del medesimo D. Lgs..

 

La Corte d’Appello ha assolto il coordinatore e il datore di lavoro dell’impresa affidataria per non aver commesso il fatto e ha ridotta la pena al direttore tecnico di cantiere. Secondo i giudici di appello non era censurabile la condotta del coordinatore il quale aveva correttamente predisposto il piano di sicurezza e coordinamento e non lo aveva adeguato in quanto non a conoscenza della nuova modalità di lavoro, dettata dall’urgenza, e decisa quella stessa mattina in cantiere dai soggetti direttamente responsabili. Non era stato neppure ravvisato un profilo di colpa in capo al datore di lavoro dell’impresa affidataria stante la complessità della struttura aziendale, che aveva più cantieri aperti, e la scelta di carattere occasionale del preposto dovuta all’urgenza del momento.

 

Avverso la pronuncia assolutoria del coordinatore e del datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale che ha richiesto l’annullamento della sentenza. Lo stesso ha fatto rilevare che la zona nella quale era successo l’infortunio non era stata posta in sicurezza per cui l’accesso doveva essere precluso e inoltre che con verbale dello Spresal redatto il giorno stesso dell’infortunio era stata disposta la sospensione immediata dei lavori fino alla installazione completa delle opere di protezione contro il rischio di caduta dall’alto perché risultate carenti in tutto il cantiere. Secondo il Procuratore ricorrente, inoltre, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, aveva un compito di alta vigilanza che lo obbligava a frequentare il cantiere per rilevarne periodicamente le criticità, mentre il datore di lavoro rimaneva titolare di una posizione di garanzia, in relazione al controllo dei sistemi di sicurezza atti a prevenire rischi di carattere generale.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La suprema Corte ha fatto presente che la Corte di Appello aveva analizzato in maniera corretta le posizioni di garanzia dei due imputati verso i quali era stato presentato il ricorso e aveva escluso la responsabilità di entrambi, in relazione al sinistro occorso al lavoratore, con ragionamento immune da censure. Secondo la ricostruzione della vicenda che si legge nella sentenza impugnata, ha posto in evidenza la Sez. IV, la decisione di proseguire i lavori in una parte di cantiere non ancora messa in sicurezza non era oggetto di programmazione ma era stata dettata dall’urgenza del momento e decisa dallo stesso infortunato, dal titolare della ditta subappaltatrice e dal preposto G.C. presenti quel giorno in cantiere. Ciò era anche emerso dalle dichiarazioni rese dallo stesso lavoratore infortunato.

 

La Corte di Cassazione ha quindi analizzata la posizione dei due imputati alla luce delle considerazioni sopra esposte. Quanto al coordinatore la Corte suprema ha messo in evidenza che più volte dalla stessa è stato affermato che tale figura è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione del lavoro, svolge compiti di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, compiti che sono dettagliatamente indicati nell’art. 92 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008. “Lo stesso non è invece tenuto” ha così proseguito la Sez. IV, “anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, controllo questo demandato ad altre figure operative, quali datore di lavoro, dirigente e preposto” e ha citate alcune sentenze che si sono già espresse in tal senso precedentemente.

 

Esclusa quindi la necessità di una presenza quotidiana del coordinatore in cantiere e considerato che lo stesso aveva correttamente predisposto il piano di sicurezza e di coordinamento, la Corte territoriale ha ragionevolmente escluso che potesse essere a lui addebitato di non averlo modificato aggiornandolo ed integrandolo in relazione allo sviluppo dei lavori, posto che di tale sviluppo egli non era a conoscenza.

 

Quanto poi alla posizione del datore di lavoro dell’impresa affidataria la suprema Corte  ha ribadito che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è correttamente inquadrato come datore di lavoro, titolare di una posizione di garanzia e responsabile del rispetto della normativa antinfortunistica, il soggetto che, pur avendo formalmente appaltato a terzi le opere che hanno dato origine all’infortunio, sia intervenuto costantemente nella loro esecuzione, curando l’organizzazione del lavoro ed impartendo istruzioni e direttive, esercitando cioè una continua ingerenza nella prosecuzione dei lavori medesimi”.

 

Nel caso in esame, ha così concluso la Sez. IV, la Corte territoriale aveva escluso ogni profilo di colpa in capo al datore di lavoro sia per la complessità della struttura aziendale, con diversi cantieri aperti e con una organizzazione di preposti, sia tenendo conto che “l’incidente non era derivato da scelte gestionali di fondo o da difetti strutturali conosciuti o conoscibili dal datore di lavoro, ma da una decisione estemporanea assunta nello svolgimento dei lavori del cantiere e dunque di carattere meramente occasionale: la gestione del rischio era quindi riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto”.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 48963 del 25 ottobre 2017 (u. p. 21 settembre 2017) –  Pres. Blaiotta – Est. Menichetti – Ric. Procuratore Generale. – Se l’infortunio di un lavoratore accaduto in un cantiere non è avvenuto per errate scelte gestionali di fondo o da difetti strutturali noti ma da una decisione estemporanea assunta durante i lavori la gestione del rischio è di competenza del preposto.

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

REACH: come realizzare una valutazione della sicurezza chimica?

Helsinki, 2 Mar – Nel documento dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche ( ECHA) “ Guida pratica per manager di PMI e coordinatori REACH. Come adempiere alle prescrizioni in materia di informazione per le fasce di tonnellaggio 1-10 e 10-100 tonnellate all’anno”, che descrive le informazioni che “devono essere incluse nel fascicolo di registrazione” con riferimento alla scadenza del 31 maggio 2018 (per le aziende che fabbricano o importano sostanze in bassi volumi, tra 1-100 tonnellate all’anno), ci si sofferma ampiamente sulla valutazione della sicurezza chimica (CSA) e sulla relazione sulla sicurezza chimica (CSR).

Ad esempio segnalando, come ricordato in un precedente articolo di PuntoSicuro, che “nel caso in cui la registrazione abbia per oggetto una sostanza con una fascia di tonnellaggio di 10-100 tonnellate all’anno, è richiesta la conduzione di una CSA e la conseguente redazione di una CSR”.

 

Ma come possono essere determinate la valutazione e la relazione sulla sicurezza chimica?

 

Riguardo alla CSA il documento riporta alcune fasi.

 

La prima riguarda la valutazione del tipo e dell’entità dei pericoli della sostanza.

 

In particolare si indica che occorre “determinare le proprietà (potenzialmente pericolose) della sostanza:

  • proprietà chimico/fisico che possono avere effetti nocivi: “si dovranno valutare, come minimo, l’esplosività, l’infiammabilità e le proprietà ossidanti. La valutazione è di tipo qualitativo e il risultato sarà la classificazione o meno per tali proprietà”;
  • proprietà pericolose per l’ambiente: “sarà necessario condurre valutazioni per ciascun contesto ambientale, detti anche ‘comparti ambientali’, sia per gli effetti a breve termine, sia a lungo termine. Inoltre, sarà necessario valutare se la sostanza presenta le cosiddette. ‘proprietà PBT/vPvB’” (in relazione a persistenza, bioaccumulabilità e tossicità di una sostanza);
  • end point sulla salute umana: “per la salute umana, sarà necessario condurre valutazioni diverse in base alle vie di esposizione, il sito ove si verificano gli effetti, la durata dell’esposizione, il tipo di effetto e la possibilità che lo studio consenta di trarre conclusioni sul rapporto quantitativo fra esposizione ed effetti”.

Si indica poi che per molte delle proprietà relative alla salute umana e l’ambiente, il dichiarante “deve ricavare delle soglie quantitative, vale a dire dei livelli al di sotto dei quali non si hanno effetti nocivi. Queste soglie sono chiamate livelli derivati senza effetto (Derived no effect level, DNEL) per la salute umana e concentrazioni prevedibili prive di effetti (Predicted no effect concentrations, PNEC) per l’ambiente”. Inoltre sulla base delle informazioni sulle proprietà, “dovranno essere valutati il tipo e l’entità dei rischi connessi alla sostanza, per poi arrivare a una decisione sulla classificazione della sostanza”.

 

Una seconda fase riguarda la valutazione dell’esposizione.

 

Si segnala che la valutazione dell’esposizione per un determinato uso “inizia dall’esame dalle proprietà, degli usi identificati e delle condizioni d’uso note della sostanza. In questo modo si può arrivare a una stima dell’esposizione per un determinato uso”.

Si ricorda che “per i pericoli fisico-chimici, come l’infiammabilità, le valutazioni dell’esposizione non sono altro che un modo per determinare le condizioni d’uso atte a prevenire gli incidenti sul luogo di lavoro. Per esempio, nel caso delle sostanze infiammabili, si deve valutare se le condizioni d’uso esistenti, comprese le misure di gestione dei rischi, siano sufficienti a garantire che le probabilità di incendio siano molto basse. Tale valutazione è sempre di tipo qualitativo”. Mentre per l’ambiente occorre “condurre numerose valutazioni dell’esposizione per i vari comparti ambientali”. Le emissioni, il destino e la distribuzione nell’ambiente, assieme alle condizioni ambientali, “permettono di definire le concentrazioni nell’ambiente”.

Per la salute umana, in genere è “necessario sviluppare diverse valutazioni dell’esposizione per ogni uso identificato, per esempio per tempistiche e vie d’esposizione diverse. I tipi di valutazione dell’esposizione sono legati alla proprietà e agli usi della sostanza”.

Insomma il dichiarante deve “assicurarsi che i metodi di valutazione dell’esposizione e gli strumenti utilizzati siano idonei al profilo delle proprietà e alle condizioni d’uso della sostanza”. Il documento, che riporta un grafico per illustrare il processo di valutazione dell’esposizione, si sofferma anche sui limiti degli strumenti descritti.

 

Veniamo alla fase di caratterizzazione dei rischi, il processo “attraverso il quale si mettono a confronto le informazioni sui pericoli delle sostanze con le informazioni sull’esposizione alle stesse (per l’uomo e l’ambiente e, se del caso, per le proprietà fisiche e chimiche)”.

Si indica che “per gli effetti che presentano una soglia tossicologica (livello derivato senza effetto, DNEL) o una concentrazione prevedibile priva di effetti (PNEC), le stime quantitative dell’esposizione devono essere confrontate con le soglie. Nella pratica, quest’attività si svolge dividendo il livello d’esposizione (o di concentrazione) per il livello con effetto (o di concentrazione). In questo modo si ottiene un ‘rapporto di caratterizzazione del rischio’ (RCR). Occorre garantire che, per ciascun uso pertinente e la relativa valutazione separata, ogni RCR sia inferiore a 1, ossia che il livello d’esposizione sia inferiore al livello di soglia”.

Se invece un RCR è prossimo o superiore a 1 “la valutazione deve essere migliorata, mettendo a punto le informazioni sulla proprietà della sostanza o modificando le condizioni operative e/o le misure di gestione dei rischi consigliate”.

 

Parliamo ora di scenari d’esposizione.

Sappiamo che uno scenario d’ esposizione (ES), più volte presentato negli articoli di PuntoSicuro, è la “descrizione strutturata delle condizioni operative e delle misure di gestione dei rischi volte a garantire la sicurezza d’uso. Se la sostanza ha proprietà nocive per l’uomo o per l’ambiente, o presenta proprietà fisiche e chimiche nocive, è necessario creare degli ES che coprano l’intero ciclo di vita della sostanza”. E “ogni singola attività (situazione dell’esposizione), che rientra in un determinato uso oggetto della valutazione, deve essere descritta separatamente negli ‘scenari concorrenti’”. Ad esempio – continua la guida ECHA – “l’applicazione manuale di spray presso i siti industriali, che potrebbe essere descritta con il termine REACH ‘applicazione di vernici presso siti industriali’, presenterebbe gli scenari concorrenti elencati di seguito:

  • Preparazione della vernice da applicare tramite spray (vernice per cucina) (PROC 5)
  • Attrezzature per il riempimento (PROC 8)
  • Applicazione spray (PROC 7)
  • Pulizia delle attrezzature (PROC 28)”.

 

Infine, si sottolinea che i risultati della valutazione della sicurezza chimica sono riportati nella relazione sulla sicurezza chimica (CSR) che contiene 10 capitoli:

  • le sostanze e gli usi “sono descritti nei capitoli 1 e 2, mentre la valutazione dei rischi è contenuta nei capitoli da 3 a 8”;
  • “se non sono stati individuati i pericoli per la sostanza, i capitoli 9 (valutazione dell’esposizione) e 10 (caratterizzazione dei rischi) non sono necessari”.

Inoltre per facilitare la valutazione dell’esposizione e la caratterizzazione dei rischi, “l’ECHA ha sviluppato lo strumento per la valutazione e la relazione sulla sicurezza chimica ( Chesar). Il dichiarante può utilizzare questo strumento per creare la valutazione dell’esposizione e la parte corrispondente della relazione sulla sicurezza chimica, nonché gli ES da comunicare agli utilizzatori”.

 

Concludiamo rimandando ad una lettura integrale della guida che riporta ulteriori dettagli sulla valutazione della sicurezza chimica e che si sofferma anche sulle competenze necessarie per la valutazione, su tempi/scadenze e sulle mappe degli usi.

 

RTM

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

ECHA, “ Guida pratica per manager di PMI e coordinatori REACH. Come adempiere alle prescrizioni in materia di informazione per le fasce di tonnellaggio 1-10 e 10-100 tonnellate all’anno”, versione 1.0, ottobre 2016 (formato PDF, 2.35 MB).

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Le schede descrittive dei percorsi formativi per RSPP e ASPP

Firenze, 2 Mar – Nella Regione Toscana in attuazione dell’ Accordo Stato/Regioni n. 128 del 7 luglio 2016 – accordo finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione – con il Decreto n. 13754 del 26 settembre 2017 sono state approvate le nuove schede descrittive dei percorsi di “Formazione obbligatoria per Responsabili e Addetti dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP/ASPP)”, che sostituiscono le schede approvate con Decreto n. 5584/2006 con conseguente aggiornamento del Repertorio Regionale dei Profili Professionali.

 

Tale decreto fa riferimento anche alla Delibera della Giunta Regionale n. 838 del 31 luglio 2017 con la quale la Regione Toscana ha attuato l’ Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016 per la realizzazione delle attività formative per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione e per Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione. Delibera che rimandava, appunto, ad un successivo Decreto Dirigenziale (DD) per l’approvazione delle schede descrittive dei percorsi formativi.

 

 

Le schede descrittive dei percorsi di formazione

Dunque il DD 13754/2017 – recante “Repertorio Regionale dei Profili Professionali: approvazione schede descrittive dei percorsi di formazione obbligatoria per “Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP)”- (D.Lgs. n.81 del 9 aprile 2008 e successive modificazioni; Accordo Stato-Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano n. 128 del 7 luglio 2016 e DGR n. del 838 del 31/07/2017)” – approva le schede descrittive, allegate al decreto, riguardanti i percorsi formativi rispettivamente di:

  • Formazione obbligatoria per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP) – Modulo A (base) (Allegato A)
  • Formazione obbligatoria per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP) – Modulo B (comune) (Allegato B)
  • Formazione obbligatoria per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP) – Modulo B-SP1 (specializzazione): Agricoltura – Pesca (Allegato C)
  • Formazione obbligatoria per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP) – Modulo B-SP2 (specializzazione): Attività Estrattive-Costruzioni (Allegato D)
  • Formazione obbligatoria per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP) -Modulo B-SP3 (specializzazione): Sanità residenziale (Allegato E)
  • Formazione obbligatoria per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP) – Modulo B-SP4 (specializzazione): Chimico-Petrolchimico (Allegato F)
  • Formazione obbligatoria per Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) – Modulo C (Allegato G).

 

I contenuti dei moduli di specializzazione

A titolo esemplificativo ci soffermiamo oggi sui contenuti delle unità formative (U.F.) standard dei moduli B di specializzazione relativamente ad Agricoltura/Pesca, Attività Estrattive/Costruzioni, Sanità residenziale, Chimico-Petrolchimico, percorsi formativi le cui caratteristiche sono normate a livello nazionale/regionale e che preparano all’esercizio di una specifica attività lavorativa nell’ambito dei servizi di prevenzione e protezione.

Si segnala che la ripartizione delle ore effettuata, nelle schede allegate al decreto, per ciascuna U.F. è puramente indicativa, consentendo l’Accordo di riferimento una diversa ripartizione, nell’ambito delle ore previste per ciascun modulo.

 

Veniamo ai contenuti delle unità formative.

 

Formazione obbligatoria per RSPP E ASPP – Modulo B-SP1 (specializzazione): Agricoltura – Pesca (12 ore):

  • “Ambienti di lavoro nel settore agricolo, nella silvicoltura o zootecnico e nel settore ittico;
  • Dispositivi di protezione individuali;
  • Normativa CEI per strutture e impianti del settore agricolo, zootecnico e della pesca;
  • Macchine, attrezzature agricole e forestali e attrezzature di lavoro e a bordo;
  • Esposizione ad agenti chimici, cancerogeni e biologici utilizzati in agricoltura;
  • Rumore e vibrazione nel settore agricolo e ittico;
  • Rischio incendio e gestione dell’emergenza;
  • Rischio cadute dall’alto, a bordo e fuori bordo;
  • Movimentazione dei carichi;
  • Atmosfere iperbariche”.

 

Formazione obbligatoria per RSPP E ASPP – Modulo B-SP2 (specializzazione): Attività Estrattive-Costruzioni(16 ore):

  • “Organizzazione, fasi lavorative e aree di lavoro dei cantieri;
  • Il piano operativo di sicurezza (POS);
  • Cenni sul PSC e PSS;
  • Cave e miniere Dispositivi di protezione individuali;
  • Cadute dall’alto e opere provvisionali;
  • Lavori di scavo;
  • Impianti elettrici e illuminazione di cantiere;
  • Macchine e attrezzature;
  • Apparecchi di sollevamento e mezzi di trasporto;
  • Esposizione ad agenti chimici, cancerogeni e mutageni, amianto nei cantieri;
  • Rumori e vibrazioni;
  • Rischio incendio ed esplosione nelle attività estrattive e nei cantieri;
  • Attività su sedi stradali”.

 

Formazione obbligatoria per RSPP E ASPP – Modulo B-SP3 (specializzazione): Sanità residenziale (12 ore):

  • “Ambienti di lavoro nel settore sanitario, ospedaliero e ambulatoriale e assistenziale;
  • Dispositivi di protezione individuali;
  • Rischio elettrico e normativa CEI per strutture e impianti nel settore sanitario;
  • Rischi infortunistici apparecchi, impianti e attrezzature sanitarie e attività sanitaria specifica (es. ferite da taglio e da punta);
  • Agenti chimici, cancerogeni e biologici utilizzati nel settore sanitario;
  • Rumore, microclima, campi elettromagnetici, radiazioni ionizzanti, vibrazione nel settore sanitario;
  • Rischio incendio e gestione dell’emergenza;
  • Atmosfere iperbariche;
  • Gestione dei rifiuti ospedalieri;
  • Movimentazione dei carichi”.

 

Formazione obbligatoria per RSPP E ASPP – Modulo B-SP4 (specializzazione): Chimico- Petrolchimico (16 ore):

  • “Processo produttivo, organizzazione del lavoro e ambienti di lavoro nel settore chimico-petrolchimico;
  • Dispositivi di protezione individuali;
  • Normativa CEI per strutture e impianti;
  • Impianti nel settore chimico e petrolchimico;
  • Esposizione ad agenti chimici, cancerogeni e mutageni nel settore chimico e petrolchimico;
  • Esposizione ad agenti fisici nel settore chimico e petrolchimico;
  • Rischi incendi esplosioni e gestione dell’emergenza;
  • Gestione dei rifiuti;
  • Manutenzione degli impianti e la gestione dei fornitori”.

 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del provvedimento in relazione al contenuto delle sette schede descrittive approvate.

 

 

 

RTM

 

 

Scarica la normativa di riferimento:

Regione Toscana – Direzione Istruzione e Formazione – Decreto 26 settembre 2017, n. 13754 – Repertorio Regionale dei Profili Professionali: approvazione schede descrittive dei percorsi di formazione obbligatoria per “Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Addetto dei Servizi di Prevenzione e Protezione (ASPP)”- (D.Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 e successive modificazioni; Accordo Stato-Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano n. 128 del 7 luglio 2016 e DGR n. del 838 del 31/07/2017).

 

Regione Toscana – Delibera della Giunta Regionale n. 838 del 31 luglio 2017 – Recepimento e disposizioni attuative dell’Accordo tra Stato e Regioni / Province autonome n. 128 del 7/07/2016 – Percorsi formativi per responsabili e addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’art. 32 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.

 

Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano – Accordo 7 luglio 2016 – Accordo finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Edilizia scolastica, l’Inail acquista la nuova sede dell’Ipsaa “Solari” di Fidenza

La struttura, rilevata dal Comune del Parmense nell’ambito del programma di iniziative immobiliari di elevata utilità sociale, è stata concessa in locazione per 18 anni alla stessa amministrazione locale. La sua costruzione rappresenta il più grande investimento sull’istruzione pubblica dell’ultimo decennio nella provincia emiliana

 

ROMA – L’Inail questa mattina ha rilevato dal Comune di Fidenza la proprietà del nuovo Istituto scolastico professionale per l’agricoltura e l’ambiente (Ipsaa) “Solari” di via Croce Rossa. Dopo la sottoscrizione dell’atto di compravendita, è stato stipulato un contratto di locazione con cui la struttura è stata affittata per 18 anni alla stessa amministrazione, con un canone annuo fissato al 2,5% del costo complessivo dell’investimento.

L’iter avviato nel settembre 2015. L’operazione rientra nel programma di iniziative immobiliari di elevata utilità sociale – avviato sulla base delle disposizioni previste dall’articolo 1, comma 317 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015) – che comprende anche la realizzazione di nuove costruzioni o la riqualificazione di immobili già esistenti destinati a strutture scolastiche, da concedere poi in locazione alle amministrazioni pubbliche. L’iter ha preso il via il 15 settembre 2015, con la presentazione della proposta di investimento da parte dell’amministrazione comunale di Fidenza, in risposta all’avviso pubblico volto a individuare le iniziative da sottoporre alla valutazione dell’Inail. La successiva istruttoria per la verifica della compatibilità tecnica, economica e finanziaria del progetto ha dato esito positivo.

Nell’edificio anche nove laboratori, due officine e un caseificio. La costruzione della nuova sede dell’Istituto “Solari”, recentemente accorpato in un unico polo scolastico con l’alberghiero “Magnaghi” di Salsomaggiore, rappresenta il più grande investimento sull’istruzione pubblica dell’ultimo decennio in provincia di Parma. La struttura, che ha aperto ufficialmente le porte agli studenti lo scorso 8 gennaio, si estende su una superficie complessiva di oltre 4.500 metri quadrati e comprende 11 aule didattiche, in grado di ospitare più di 350 alunni, nove laboratori, due officine, un caseificio, un’ampia aula magna, una biblioteca, un’aula per riunioni e colloqui e una palestra di 635 metri quadrati. L’esterno comprende un’area per lo sport di 725 metri quadrati, uno spazio a verde e un parcheggio.

Lo stanziamento complessivo è pari a quasi un miliardo di euro. L’impegno finanziario complessivo per l’edilizia scolastica previsto nei piani di investimento dell’Inail ammonta a 970 milioni di euro. Ai 320 milioni di euro destinati alle scuole nell’ambito dell’asset dedicato alle opere di elevata utilità sociale vanno infatti sommati i 350 milioni dell’operazione #scuoleinnovative, promossa dal Miur per la realizzazione di 51 strutture all’avanguardia dal punto di vista architettonico, impiantistico, tecnologico, dell’efficienza energetica e della sicurezza strutturale e antisismica, che proseguirà a livello regionale con i 100 milioni Inail previsti dalla legge di bilancio 2017 e con i 50 milioni autorizzati dalla manovra finanziaria per il 2018. Gli altri 150 milioni di euro, invece, saranno distribuiti alle Regioni per favorire la realizzazione di nuovi poli per l’infanzia a gestione pubblica.

 

Fonte: Inail.it

Generic

Sostanze chimiche pericolose, al via l’indagine pilota Inail-Echa

Partita il 19 febbraio l’indagine progettata dall’Istituto e rivolta a un campione qualificato di imprese dei settori gomma plastica, tessile e cuoio, carta e legno, che le impiegano nei loro processi di produzione. L’obiettivo è raccogliere informazioni sulla fruibilità delle schede di sicurezza usate in azienda e sulle criticità legate al loro utilizzo nella valutazione del rischio chimico

 

ROMA – Identificare le eventuali cause che impediscono un uso efficace delle informazioni contenute nelle schede di sicurezza (Sds) per la valutazione del rischio chimico in azienda e proporre le modifiche più idonee per migliorarle. Questo il contributo richiesto a un ampio panel mirato di imprese, attraverso la compilazione di un questionario che sarà online a partire dal 19 febbraio. Il questionario, predisposto da un gruppo di lavoro multidisciplinare Inail, coordinato dalla Direzione centrale prevenzione, è stato condiviso con Echa (European chemicals agency) e Federchimica. I destinatari sono i soggetti, interni o esterni all’azienda, chiamati a occuparsi della valutazione del rischio chimico e del rispetto degli obblighi previsti dal regolamento europeo Reach (Registration, evaluation, authorisation of chemicals).

Dalle schede di sicurezza le informazioni necessarie contro i rischi chimici. Le schede dati di sicurezza rappresentano il principale documento informativo che accompagna le sostanze chimiche e le loro miscele. Contengono dati fondamentali per una corretta e sicura manipolazione di sostanze e miscele e consentono al datore di lavoro di identificare le sostanze pericolose e di conoscere i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente, consentendo di adottare le necessarie misure di prevenzione e protezione.

È la prima indagine europea sul tema. L’obiettivo della collaborazione fra Inail ed Echa, con il supporto di Federchimica, è quello di realizzare un’indagine per misurare l’impatto delle schede dati di sicurezza delle sostanze pericolose e delle miscele sugli utilizzatori a valle. Con questa denominazione, secondo i regolamenti tecnici Reach e Clp (Classification, labelling and packaging), sono indicati lavoratori individuali o imprese per i quali l’utilizzo di sostanze chimiche non rappresenta l’elemento principale dell’attività ma entra pienamente nel ciclo produttivo aziendale. È il caso, per esempio, delle aziende operanti nei settori prescelti per l’indagine, della gomma plastica, del tessile e del cuoio, della carta e del legno. Tra i prodotti chimici impiegati ci sono solitamente vernici, metalli, adesivi, solventi e detergenti. Lo studio costituisce la prima indagine pilota attivata in uno Stato dell’Unione europea e potrà rappresentare un modello trasferibile anche ad altri Paesi membri.

Il questionario si articola in 24 domande. Il questionario, che sarà compilabile online fino al 20 aprile, è strutturato in 24 domande, suddivise in quattro ambiti tematici: organizzazione, conoscenza, aspetti tecnici e gradimento/criticità.
Rispondendo a un primo invito, le imprese coinvolte potranno partecipare all’indagine attraverso un link personalizzato che ne consentirà l’attivazione.

 

Fonte: Inail.it

Generic

Agenti biologici e ambienti di lavoro, online la nuova Banca dati Inail

Realizzata dalla Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione e dalla Direzione centrale organizzazione digitale, è destinata a favorire la conoscenza del rischio biologico e dei livelli di contaminazione microbiologica associati alle varie mansioni lavorative, mettendo a disposizione informazioni utili per la prevenzione e fornendo uno strumento valido per l’autocontrollo aziendale

 

ROMA – Gestire il processo di rilevazione della contaminazione microbiologica ambientale, archiviare i risultati derivanti dalle indagini e valutarli allo scopo di prevenire i rischi e per attuare il controllo statistico della qualità del dato analitico. Queste le finalità della Banca dati agenti biologici e agenti di lavoro, il nuovo software Inail sviluppato dalla Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione (Contarp) e dalla Direzione centrale organizzazione digitale (Dcod).

I risultati delle indagini ambientali organizzati per settori e attività produttive. All’interno dell’applicativo, disponibile sul portale dell’Istituto nell’area dei servizi online dedicata al rischio biologico, sono raccolti e organizzati, per settori e attività produttive, le indagini ambientali condotte, i livelli di biocontaminazione riscontrati nelle diverse fasi lavorative e le informazioni sul comparto produttivo, utili alla sua caratterizzazione. Nel software è prevista, inoltre, la valutazione dei risultati delle indagini, per il controllo statistico automatico della qualità del dato analitico, ed è presente una sezione in cui è possibile archiviare documenti, immagini e video relativi ai monitoraggi condotti.

Una rete per migliorare la conoscenza. La Banca dati è destinata a strutture pubbliche ed enti interessati ad archiviare i dati e le informazioni derivanti dalle proprie indagini ambientali, per creare una rete che consenta di migliorare la conoscenza, a scopo preventivo, del rischio biologico occupazionale. L’applicativo fornisce, inoltre, uno strumento valido ai fini dell’autocontrollo microbiologico aziendale, nell’ambito dei processi interni di prevenzione e dell’archiviazione dei dati acquisiti attraverso di esso.

La registrazione al portale requisito preliminare. Per utilizzare il software, se non si dispone delle credenziali Spid (Sistema pubblico di identità digitale), Inps o Carta nazionale dei servizi, è necessario registrarsi al portale Inail come utente con credenziali dispositive, inviando successivamente la richiesta di accesso alla Banca dati attraverso la posta elettronica certificata della struttura di appartenenza.

Previsti due profili di accesso. Nella richiesta deve essere indicato anche il profilo con cui si intende accedere all’applicativo: chiunque sia interessato alla consultazione dell’archivio, con la possibilità di visionare solo una sintesi dei dati, può registrarsi come “visualizzatore”, mentre il personale tecnico che effettua indagini ambientali e intende utilizzare il software per archiviare i propri dati, oltre a visualizzare i monitoraggi eseguiti da altri tecnici, può chiedere l’accesso con il profilo di “utilizzatore”.

Applicativo realizzato per gestire il processo di rilevazione della contaminazione microbiologica negli ambienti di lavoro.

Il datore di lavoro è tenuto a valutare il rischio per la salute dei lavoratori derivante dall’esposizione, anche potenziale, agli agenti biologici deliberatamente o occasionalmente presenti nell’ambiente di lavoro.

 

Fonte: Inail.it

Generic

Protocollo d’intesa con la Società Italiana di Medicina del Lavoro

In materia di salute e sicurezza dei lavoratori il Ministro della Salute ha firmato un Protocollo d’intesa con la Società Italiana di Medicina del Lavoro.

 

 

Firmato il 14 febbraio 2018 dal Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin e il presidente della Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML), Francesco Violante un Protocollo d’intesa per programmare, promuovere ed intraprendere attività comuni per il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori e per la riduzione delle disuguaglianze di salute.

 

“Con questo protocollo affrontiamo il tema della salute del lavoro – dichiara il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin – che è una questione importantissima nel nostro Paese. Salute del lavoro vuol dire prevenzione di tutti gli incidenti ma anche aiutare i lavoratori a stare in salute attraverso l’adesione alle attività di screening e la promozione di corretti stili di vita”.

 

“Questo protocollo è importantissimo – ha affermato il presidente della SIML, Francesco Violante – perché permetterà di mettere al servizio delle politiche sanitarie pubbliche un nutrito gruppo di specialisti che si occuperanno, non solo degli obblighi che riguardano la tutela e la sicurezza nei luoghi di lavoro, ma soprattutto del tema della promozione della salute declinato in tutte le sue caratteristiche con un’attenzione particolare ai temi di genere”

 

I principali temi sui quali è incentrata la collaborazione della SIML nel contesto del protocollo d’intesa sono:

  • nell’ambito della sorveglianza sanitaria effettuata dai Medici del Lavoro: la prevenzione di malattie croniche non trasmissibili, il supporto alla adesione alle attività di screening, la promozione di corretti stili di vita
  • la valorizzazione dell’approccio scientifico alla tematica della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e proposta di misure, di provata efficacia, per la riduzione dei fattori di rischio di malattia ed infortunio nei luoghi di lavoro
  • la definizione e la gestione, basata su evidenze scientifiche, delle azioni prioritarie volte al controllo dei rischi lavorativi
  • la definizione di un quadro normativo semplice ed efficace per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro italiani, anche alla luce delle migliori esperienze presenti negli altri Paesi ad economia avanzata
  • l’analisi delle evidenze scientifiche sui rapporti tra insediamenti produttivi e salute della popolazione

La sottoscrizione del predetto Protocollo d’intesa non comporterà oneri economici per il Ministero della Salute né per il Servizio Sanitario Nazionale.

 

Il protocollo d’intesa (formato PDF, 1.26 MB)

 

Fonte: Ministero della Salute

 

Generic

Napoli, seminario sui finanziamenti Inail alle imprese: Isi 2017, OT24 e reinserimento lavorativo

Si terrà mercoledì 21 febbraio 2018 alle ore 15.00 presso la sede dell’Unione Industriali di Napoli in Piazza dei Martiri, 58 pal. Partanna, il corso “Incentivi Inail: bando Isi 2017 e OT24” organizzato dall’Inail, Direzione regionale Campania, e dall’Unione Industriali

I fondi messi a disposizione attraverso il bando Isi 2017 sono suddivisi in cinque assi di finanziamento, differenziati in base ai destinatari e alla tipologia dei progetti che saranno realizzati: progetti di investimento e per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale; progetti per la riduzione del rischio da movimentazione manuale dei carichi; progetti di bonifica da materiali contenenti amianto; progetti per micro e piccole imprese operanti nei settori del legno e della ceramica e progetti per le micro e piccole imprese operanti nel settore della produzione agricola primaria dei prodotti agricoli (ex Isi Agricoltura).

I destinatari degli incentivi. Con il nuovo bando Isi si allarga la platea dei destinatari degli incentivi. Oltre alle imprese, anche individuali, iscritte alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, infatti, l’asse di finanziamento dedicato alla riduzione del rischio dovuto alla movimentazione dei carichi è aperto ai progetti presentati dagli enti del terzo settore, anche non iscritti al registro delle imprese, ma censiti negli albi e registri nazionali, regionali e delle Province autonome.

Il programma del seminario. Dopo i saluti di Francesco Mazzeo, responsabile Ambiente, Energia e Sicurezza sul Lavoro dell’Unione Industriali e Daniele Leone, direttore regionale Inail Campania, aprirà i lavori Adele Pomponio, direttrice dell’Ufficio programmazione organizzazione e attività Istituzionali dell’Istituto, con una relazione sulle misure di sostegno in favore dei datori di lavoro per l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro.

Gli interventi su Isi e OT24. A seguire Paolo D’Onofrio, professionista della Consulenza tecnica e accertamento rischi e prevenzione della Direzione regionale, illustrerà le specifiche del bando e le modalità di presentazione delle domande per accedere ai finanziamenti alle imprese, mentre Daniela Ferrante, professionista del Contarp, parlerà delle agevolazioni tariffare (OT24).

Fonte: Inail.it