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DPI: gli indumenti per il calore intenso e gli ambienti severi caldi

.Roma, 26 Giu – In un precedente articolo PuntoSicuro ha sottolineato come le conseguenze del caldo nei luoghi di lavoro, delle alte temperature, della presenza di fonti di calore può portare ad un aumento di sudorazione, a problemi di tachicardia. E anche ad un calo di attenzione e prontezza dei riflessi, con aumentata difficoltà a svolgere attività fisiche pesanti. Con il caldo si può avere poi surriscaldamento cutaneo ma anche scottature, spossatezza, nausea, cefalea, vomito, edema, perdita di coscienza fino al collasso. E più volte, generalmente in relazione all’arrivo dell’estate, il nostro giornale si è soffermato sulle conseguenze dei “colpi di calore”.

 

 

Tuttavia esistono dispositivi per la protezione del corpo che possono aiutare i lavoratori a proteggersi dagli eccessi della temperatura ambientale e per parlarne ci soffermiamo sul documento “ ImpresaSicura_DPI”; un documento correlato al progetto multimediale Impresa Sicura – elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail – che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.

 

Nel documento si ricordano le tre tipologie di ambienti termici, determinati tramite specifiche metodologie di valutazione: ambienti moderati, severi freddi e severi caldi. Dove gli ambienti severi caldi sono caratterizzati dalla “presenza d’intense fonti di calore con combinazione di alte temperature dell’aria, alte temperature radianti e alte umidità, in cui le condizioni ambientali non si mantengono costanti” e pertanto comportano “ stress termico”.

 

Inoltre si indica che è necessario “distinguere il rischio nelle attività effettuate nell’ambiente severo caldo da quelle esposte a “calore intenso”.

 

Infatti riguardo all’esposizione a calore intenso si segnala che nei periodi prevalentemente estivi “le temperature raggiungono valori elevati determinando uno ‘stress termico’ con conseguente difficoltà a svolgere mansioni pesanti”.

Ed in caso di “strutture e/o capannoni non termicamente isolati, mancanza di ricambi d’aria”, il rischio non è limitato ai lavoratori che lavorano all’aperto, quali “agricoltori, addetti alla raccolta di frutta e/o verdura sia nei campi sia nelle serre e gli operai dei cantieri edili e stradali”.

Per i rischi di questi lavoratori è necessario valutare due semplici parametri: la temperatura dell’aria e l’umidità relativa: “sono a ‘rischio’ le giornate in cui la temperatura all’ombra supera i 30°C e/o l’umidità relativa è superiore al 70%”.

Viene riportata, a questo proposito, la “Carta dell’indice di calore” elaborata dall’Istituto Nazionale Francese per la Ricerca sulla Sicurezza, che fornisce l’indice di pericolosità, in relazione alla temperatura dell’aria (misurata con un termometro) e l’umidità dell’aria (misurata con un igrometro). Si segnala che gli “indici riportati sono validi per lavoro all’ombra quanto tira un vento leggero”.

Carta indica calore_Foto 1_art DPI calore_28nov16

 

Si segnala poi che il rischio è più elevato in caso dell’arrivo di “ ondate di calore”, “poiché l’acclimatamento richiede un certo periodo di tempo, variabile dagli 8 ai 12 giorni. I segnali di allarme sono: sete intensa, crampi muscolari, nausea, vomito, vertigini, perdita di stato di coscienza, collasso”. Sono raccomandati possibili comportamenti di auto protezione, ad esempio:

– “indossare abiti leggeri;

– coprirsi il capo;

– bere acqua fresca regolarmente;

– evitare bevande alcoliche;

– evitare pasti abbondanti;

– in caso di malessere segnalare i sintomi al capocantiere o a un collega; non mettersi alla guida di un veicolo, ma farsi accompagnare”.

 

Veniamo alla protezione in ambienti severi caldi.

 

Gli indumenti di protezione per lavoratori dell’industria esposti al calore (esclusi gli indumenti per i vigili del fuoco e i saldatori) proteggono “contro l’azione di parti roventi, da contatti rapidi con la fiamma, scintille, così come da spruzzi di metalli liquidi o di scorie, fuso e da altri tipi di calore, quali convettivo, radiante, o le loro combinazioni”.

I lavoratori esposti a questa fonte di rischio sono, ad esempio, “gli addetti agli alti forni, all’industria petrolchimica e petrolifera, ma anche gli addetti allo spegnimento degli incendi boschivi, ecc”.

In questo caso gli indumenti – di materiale flessibile per proteggere le specifiche parti del corpo – “comprendono sia tute, che coprono la parte superiore e/o inferiore del corpo, sia più pezzi, quali pantaloni, giacche, cappucci e ghette. Presentano una fodera interna, più a contatto con la pelle, e una intermedia, a contatto con il materiale esterno”.

In particolare l’abbigliamento “deve riflettere il calore radiante e deve essere difficilmente o per niente infiammabile. Questi requisiti sono soddisfatti sia da fibre minerali sia sintetiche, ma anche da quella naturali difficilmente infiammabile. Tali fibre formano il ‘tessuto portante’ del capo, rivestito superficialmente da lamine di alluminio, argento, rame e oro, che riflettono il calore radiante fino al 90%. L’efficacia del rivestimento metallizzato può essere drasticamente ridotta dagli effetti dell’usura ma anche dall’invecchiamento dovuto al solo immagazzinamento”.

 

Il documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, riporta poi i test, le funzionalità e i livelli di prestazione degli indumenti riguardo a propagazione della fiamma, trasmissione del calore convettivo, trasmissione del calore radiante, trasmissione da spruzzi di alluminio fuso, trasmissione da spruzzi di ferro fuso, trasmissione del calore per il contatto. E si segnala, ad esempio, che gli abiti utilizzati contro gli spruzzi di metallo fuso “devono avere anche i seguenti requisiti supplementari:

– i pantaloni devono essere privi di risvolti;

– l’orlo dei pantaloni deve coprire la parte alta della scarpa;

– il pantalone deve essere sempre coperto dalla giacca qualunque sia il movimento dell’operatore;

– le zone spalle e colletto per la giacca e cavallo per i pantaloni devono avere protezioni rinforzate;

– le eventuali chiusure metalliche poste sulla parte esterna dei capi deve essere coperta o idoneamente trattata al fine di evitare eventuale presa del metallo fuso;

– i dispositivi di chiusura/apertura devono consentire sia un rapido indossamento che la rapida

svestizione”.

 

Il progetto si sofferma poi sugli indumenti di protezione dalle radiazioni UV.

 

Infatti nel caso di esposizioni a radiazioni UV (ultravioletta), che è, ad esempio, molto probabile nei lavori all’aperto in estate a metà giornata, è “opportuno utilizzare a protezione almeno delle parti superiori del corpo, capi di abbigliamento con Fattore di protezione ultravioletto (UPF) maggiore di 40”.

Come per gli altri indumenti, anche in questo caso sono riportate indicazioni sui requisiti, sulle taglie, sulla marcatura e sulle istruzioni per gli operatori”.

 

Concludiamo riportando qualche indicazione relativa agli indumenti di protezione contro il calore ed il fuoco (calore per contatto).

 

Il documento segnala che il rischio da calore per contatto è frequente “quando è possibile che un operatore venga occasionalmente a ‘contatto’ per tempi brevi con piccole fiamme”.

E un tale indumento di protezione, che “può essere costituito da più capi d’abbigliamento distinti oppure da un unico capo d’abbigliamento a uno o più strati, deve essere fatto con materiale che abbia la proprietà di limitare la propagazione della fiamma” per ridurre la “possibilità che l’indumento prenda fuoco”.

 

 

Il sito “ Impresa Sicura”: l’accesso via internet è gratuito e avviene tramite registrazione al sito.

 

Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro – Buone Prassi -Documento approvato nella seduta del 27 novembre 2013 – Impresa Sicura

 

 

RTM

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it