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Avviare la semplificazione nella formazione alla sicurezza

Le difficoltà poste alla semplificazione sulla formazione alla sicurezza. Il futuro delle Regioni e un analisi relativa a vari problemi: sistema di accreditamento regionale, soggetti formatori, qualificazione dei docenti,… A cura di Rocco Vitale.
Brescia, 7 Nov – Nel campo della sicurezza sul lavoro la mole delle leggi, disposizioni, regolamenti ha raggiunto un tale livello di complessità e tortuosità che la formazione viene ad assumere, sempre più, una valenza di adempimenti, spesso, meramente formali, senza nessuna reale efficacia, che  poco o nulla hanno a che vedere con il concetto della formazione sostanziale ed effettiva. Da anni si parla, si scrive ma ancora nulla è cambiato in tema di semplificazione.

La definizione di semplificazione si trova sul sito del governo e indica la mission di questa  problematica per la cui attuazione troviamo il Decreto del governo Monti del 30 dicembre 2011 che  istituisce l’”Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione”.

 

Il primo provvedimento è rappresentato dalla Legge 9 agosto 2013 n. 98 che – per quanto attiene ai temi della salute e sicurezza sul lavoro – interviene sul  D. Lgs. 81/2008 introducendo alcune modifiche sostanziali:

 

Articolo 32, dopo il comma 5, il nuovo comma 5-bis: “In tutti i casi di formazione e aggiornamento, previsti dal presente decreto legislativo, in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in tutto o in parte, a quelli previsti per il responsabile e per gli addetti del servizio prevenzione e protezione, è riconosciuto credito formativo per la durata ed i contenuti della formazione e dell’aggiornamento corrispondenti erogati.”

 

 

Chiaro e perfetto ma, lettera morta.

 

Attualmente la formazione per gli RSPP relativa al Modulo B in presenza di argomenti e materie identiche prevede per coloro che frequentano (ad esempio) il modulo “B6 commercio” e successivamente il “B4 manifatturiero” la ripetizione di parti uguali.

 

Pensate al danno ed al ridicolo (meglio sarebbe dire tragico) che ha provocato e provoca questo sistema di applicazione di una norma da tutti riconosciuta “ridicola” ma che nessuno ha avuto il coraggio di definirla tale. Molti colleghi, negli anni scorsi, hanno sempre difeso questa impostazione dicendo che l’Accordo Stato Regioni prevede questo sistema e che, dunque, deve essere attuato.

Quale è stata la vera conseguenza? Un imbroglio generalizzato:

  1. a) Gli enti formativi seri hanno aggirato l’ostacolo con pluriclassi dei differenti settori, più registri, gruppi di allievi composti e ricomposti…insomma ad una formazione seria adattavano le carte;
  2. b) Gli enti formativi meno seri (e sono la maggioranza) hanno dato attestati cumulativi senza badare tanto alla norma ed alla sostanza.

 

Eppure si tratta di una semplice norma di buon senso che, di fatto abolisce buona parte degli Accordi Stato Regioni o, meglio, procede verso il loro superamento in quanto gli “Accordi” sono quasi sempre stati redatti più come regolamenti amministrativi e gestionali che non con una visione globale di una formazione alla sicurezza utile per prevenire gli infortuni.

 

Ma, detto questo, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 20 agosto 2013 sono passati un anno e due mesi (ad oggi esattamente 428 giorni) e non è successo nulla!

 

Perché al primo capoverso della norma ne fa seguito quest’altro: “Le modalità di riconoscimento del credito formativo e i modelli per mezzo dei quali è documentata l’avvenuta formazione sono individuati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita la Commissione consultiva permanente…”

 

I due commentatori del “Corriere” Stella e Rizzo direbbero “campa cavallo”!

 

Allo stesso tempo, nessuno, tranne qualche commentatore solitario ha sviluppato, diffuso, ampliato e promosso l’ultimo capoverso del citato comma in base al quale “Gli istituti di istruzione e universitari provvedono a rilasciare agli allievi equiparati ai lavoratori … gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro”.

 

In queste poche righe, sulle quali non servono decreti, pareri o accordi, troviamo una seria“semplificazione” sulla formazione alla sicurezza nella scuola.

 

Ma la Legge 9 agosto 2013 n. 98 che modifica il D. Lgs. 81/2008 non finisce qui. Il tema viene ripreso e, a scanso di equivoci, introduce un nuovo comma all’art. 37 relativo alla formazione dei lavoratori affermando che: in tutti i casi di formazione ed  aggiornamento,  previsti dal presente decreto legislativo per dirigenti, preposti, lavoratori e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in  tutto  o  in  parte,  è riconosciuto il credito formativo per la durata  e  per  i  contenuti della formazione e dell’aggiornamento  corrispondenti  erogati.”

 

Naturalmente, anche in questo caso, non se ne è fatto nulla poiché, ovviamente,  “Le modalità di riconoscimento del credito formativo  e  i  modelli  per mezzo dei quali è documentata l’avvenuta formazione sono individuati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita  la  Commissione consultiva  permanente”.

 

E il nostro cavallo campa!

 

Ma perché siamo giunti a questa situazione?

 

Le principali 8 direttive sociali europee sulla salute e sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro venivano recepite nella legislazione italiana il 19 settembre 1994 con lo storico D. Lgs. 626. Un primo Decreto Ministeriale del 16 gennaio 1997 individuava i contenuti minimi della formazione per datori di lavoro, dirigenti, preposti, lavoratori e loro rappresentanti.

 

Nel 2001 viene modificato il Titolo V della Costituzione ed con l’art. 177 vengono ampliate le competenze legislative regionali introducendo la “ materia concorrente”. Lo spirito originario del legislatore vedeva nel termine “concorrente” la sua natura di “concorrere” a fare qualcosa di più.

 

Sono passati 13 anni e le Regioni più che “concorso” hanno “corso” in ordine sparso fino a quasi ammazzare il cavallo!

 

Tutto è iniziato male (ma proporremo una ipotesi di soluzione per finire meglio).

 

Alla data del 26 gennaio 2006 viene approvato il primo Accordo Stato Regioni sulla formazione dei RSPP (ed anche per i ponteggi). La sua applicazione crea confusione tanto che il 5 ottobre 2006 viene approvato un nuovo Accordo definito Linee guida per spiegare come attuare l’accordo precedente.

 

La storia si ripete con l’Accordo sulla formazione dei lavoratori, dirigenti e preposti del 21 dicembre 2001 cui fanno seguito le Linee interpretative del 25 luglio 2012.

 

Non è questa la sede per entrare nel merito degli Accordi ma, al di là del merito di aver regolato, in qualche modo la formazione non sfugge una impostazione di fondo più di circolare che non di atto normativo o legislativo.

 

Riesce difficile capire perché i partecipanti ad un corso per RSPP debbano essere un massimo di 30 unità mentre i lavoratori o i dirigenti possono essere 35! Perché, poi, nell’allestimento dei ponteggi il rapporto istruttori allievi debba essere di 1 a 5; mentre per la guida dei carrelli è di 1 a 6. Perché nei corsi sulle attrezzature deve essere redatto un “Fascicolo del corso” e in tutti gli altri corsi non è necessario?

 

Chiudendo questi esempi e, non entrando nel merito delle ore, materie, argomenti, attestati o altro, come direbbe Fantozzi, la “cagata pazzesca” è stata raggiunta con il “ Libretto Formativo del Cittadino”. Approvato con un decreto nel 2003, oggi dopo 11 anni, siamo ancora nella più assoluta inadempienza.

 

Ma, siamo solo all’inizio. Se tutto si fosse fermato qui, pur nella confusione e nell’interpretazione qualche cosa di buono si poteva trovare.

 

Inizia il regno delle Regioni. Regno nel senso che gli abitanti sono considerati più sudditi che cittadini. Le Regioni iniziano ad applicare una prassi definita di “recepimento degli Accordi”, però non tutte: alcune si ed altre no. A significare quanto abbia validità normativa questo modo di procedere.

 

Il recepimento degli Accordi Stato Regioni presenta qualcosa di confusionario in quanto ogni Regione ne ha dato una propria normativa interpretativa ed applicativa. A parte il fatto che gli Accordi sono stati sottoscritti all’unanimità dalle Regioni, approvati dai loro Presidenti e quindi, non è ben chiaro che cosa bisogna recepire.

 

Gli Accordi, già pubblicati in Gazzetta Ufficiale, sono norma attuativa dopo 15 giorni mentre i vari recepimenti: delibere di consiglio o di giunta, regolamenti, atti dirigenziali, determine, decreti, circolari hanno solo creato grande confusione normativa.

 

Tralasciamo gli aspetti folkloristici (il modello degli attestati ed il peso della carta, la confusione tra soggetti ope legis e accreditati, i corsi in e-learning validi in una regione e nell’altra no: come se ad internet puoi applicare i confini geografici) assistiamo ad una vera e propria invasione di linee guida, modelli, norme, libretti, e via dicendo…. Insomma una proliferazione di tutto e di più per una formazione basata su carte, adempimenti, moduli, dichiarazioni. Naturalmente diverse da Regione e Regione. Ma se ciò non bastasse alle Regioni si sono aggiunte le ASL, naturalmente con la loro autonomia differenziandosi anche all’interno della medesima regione, con linee guida, protocolli, indicazioni, modelli, e via dicendo.

 

La prima sperimentazione regionale doveva concludersi il 14 febbraio 2008 ed i risultati di tale sperimentazione dovevano essere condivisi con i ministeri per eventuali adeguamenti in Conferenza Stato-Regioni.

 

Questi erano i compiti delle Regioni e, se li avessero svolti, forse sarebbero stati utili anche nella fase dei lavori per il Testo Unico e degli Accordi approvati negli anni successivi.

 

Le Regioni, invece, tanto per citare ancora una, e non l’ultima, sono riuscite a fare quello che nessuno aveva mai osato pensare introducendo i confini all’utilizzo della formazione in modalitàe-Learning. Al di là del fatto che per alcune Regioni i moduli di formazione specifica per lavoratori, che l’Accordo prevede (giustamente) tramite lezioni frontali, si possano svolgere in e-Learning e per altre no. Come la mettiamo con le Regioni che hanno autorizzato alcune categorie a svolgere la formazione specifica in modalità e-Learning ed altre categorie, similari, non lo possano fare?

 

Un grande guazzabuglio.

 

Quella che doveva essere il “concorrere” al miglioramento per fare qualcosa di più nel campo sulla sicurezza sul lavoro si è solo trasformata in una nuova oppressione burocratica senza valore e senza anima! Con un costo per le aziende dando lavoro ai consulenti, avvocati ed impiegati più che a fare formazione per i lavoratori.

 

Del resto queste cose le aveva previste molti anni prima il prof. Sabino Cassese, prima di divenire componente della Corte Costituzionale, scriveva sul Corriere della Sera del 19 luglio 2005:“Riesce difficile dire che cosa siano, oggi, le Regioni. Si sono impadronite della sanità, messa alla mercé delle fazioni locali. Hanno accresciuto le partecipazioni, mentre quelle statali venivano smantellate. Concentrano poteri sul territorio, a danno degli enti locali e della competitività del Paese (perché contribuiscono a bloccare le grandi opere). Moltiplicano posti di sottogoverno, vuoti di funzioni. Aumentano a dismisura i processi delle decisioni pubbliche. Condizionano i più minuti provvedimenti nazionali, attraverso la conferenza Stato-Regioni. Dovevano contribuire a risolvere i problemi dello Stato. Sono, al contrario, divenute esse stesse un problema.”

 

Le cose che abbiamo detto le conoscono tutti. Nascondere la testa come gli struzzi non serve a niente anche perché il processo di modifiche e di semplificazioni è già in atto: con o senza leggi il mondo sta cambiando e la sicurezza sul lavoro e strettamente connessa ai problemi del lavoro o, meglio, della mancanza di lavoro.

 

Il primo passo, chiamiamolo di volontà politica, è avvenuto lo scorso 8 agosto all’atto dellamodifica del Titolo V della Costituzione da parte del Senato della Repubblica. Ricorderete gli 8.000 emendamenti e tutte le polemiche che ne sono conseguite: ebbene al testo di modifica dell’art. 113 che cancella completamente la salute e sicurezza sul lavoro quale materia concorrente tra Stato e Regioni non è stato presentato nessun emendamento. Significa, a mio avviso, una unanimità totale che vuole chiudere con questo sistema.

 

Saremmo ingenerosi, però, se di ogni erba ne facciamo un fascio da bruciare.

 

E’ pur vero che dai forni delle Regioni è stato sfornato di tutto e di più. Però bisogna riconoscere che molte ciambelle sono riuscite col buco. Si tratta allora di iniziare un nuovo percorso che faccia tesoro delle buone esperienza e cancelli (subito) gli elementi di confusione.

 

  1. Prima di tutto le Regioni devono risolvere, tra esse ed all’interno di esse ilsistema di accreditamento regionale. Si dirà che è un tema complesso: è vero ma su questo tema si dorme dal 2002 e dopo 12 anni siamo al punto di partenza, ovvero non siamo mai partiti.

 

  1. Un altro tema assai importante riguarda isoggetti formatori(sia ope legis e sia quelli accreditati o identificati dagli Accordi Stato Regioni). Qui sta il punto. Hic Rhodus, hic salta.

–          La confusione normativa ha sicuramente favorito e sviluppato la nascita di enti fasulli, associazioni finte, aziende trasformate in enti di formazione, false associazioni di datori di lavoro ed altrettanti falsi sindacati di lavoratori. Per non parlare degli “ enti bilaterali”, alle Camere di Commercio sono registrati oltre 500 “bilaterali”, che cavalcando la non chiarezza delle norme, hanno invaso il mercato della formazione facendone un business al posto di sviluppare “azioni proprie bilaterali” come previsto dalla Legge Biagi.

–          Si dovrà, con urgenza ed immediatezza, porre un freno a questa situazione e nella definizione di un comune agire (tra lo Stato e le Regioni) dovrà essere individuato un ente a livello nazionale che legittimi i soggetti formatori.

–          Non saranno le sanzioni a poter invertire il sistema in atto ma il coinvolgimento dei soggetti legittimati che potranno concorrere per promuovere una nuova fase della formazione in materia di sicurezza sul lavoro. Questa si chiama sussidiarietà e non “materia concorrente”!

–          Una particolare attenzione dovrà essere riservata ai soggetti formatori in modalità e-Learning, laddove la territorialità non ha senso, stabilendone con un controllo ed un accreditamento nazionale chi ne possiede capacità ed adotta quanto previsto dall’Allegato I agli Accordi del 21 dicembre 2011.

 

  1. Ai soggetti formatori si collega ilproblema dei Docenti. Ma siamo proprio sicuri che essere in possesso di uno dei sei requisiti, previsti dal D.M. 6 marzo 2013, sia una condizione sufficiente per potersi fregiare del titolo di “formatore qualificato” come dice il decreto?

Certamente lo siamo dal punto di vista formale ma, alla fine, piaccia o non piaccia saranno i nostri committenti ed i nostri allievi a giudicarci.

Da questo punto di vista il formatore qualificato è coerentemente in linea con lo status esistente: raccogli i tuoi documenti, tante fotocopie ed autodichiarazioni che, difficilmente qualcuno analizzerà minuziosamente per verificare se rispondono ai uno dei sei criteri fissati dal decreto.

Insomma todos caballeros!

Non vi è bisogno di invenzioni: basterebbe seguire ed applicare il metodo europeo proposto da ENETHOS basato su punteggi accompagnati alla lettura delle carte.

 

  1. Scuola

Dare avvio ad una campagna di formazione nelle scuole applicando sia quanto già previsto dal “Decreto del Fare” (Legge 9 agosto 2013 n. 98) in quanto “Gli istituti di istruzione e universitari provvedono a rilasciare agli allievi equiparati ai lavoratori … gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro”.

Si tratta di una innovativa e semplice proposta che unita a modelli e criteri formativi possono dare il via ad un serio e massiccio impegno verso la scuola.

 

  1. Una proposta innovativa di responsabilità

Il tempo perso è stato molto ed il tempo che rimane è poco. Ad approvazione definitiva (tra uno/due anni) del Titolo V della Costituzione non ci saranno più Accordi Stato Regione ma, resteranno in vita quelli vecchi. Lo stesso Testo unico si dovrà adeguare alle novità.

Ma non possiamo stare nel limbo senza fare nulla.

–          Si propone alla Conferenza Stato Regioni, di sospendere la revisione dell’Accordo del 2006 (il cui testo provvisorio è iniziato a circolare fin dallo scorso agosto) e pensare, invece, ad un Testo Unico degli Accordi già emessi: semplificandoli e completandoli.

–          In sintesi un testo base sull’organizzazione della formazione, soggetti formatori, docenti, erogazione attestati, metodologie di insegnamento, aggiornamento, e-Learning, le macrocategorie ateco di rischio basso, medio e alto, ecc.

–          Una serie di allegati specifici su formazione RSPP e ASPP, Lavoratori, dirigenti, Preposti, Datori di lavoro, Coordinatori, Addetti ponteggi, attrezzature, Primo Soccorso, Prevenzione incendi, ecc.

–          In questo nuovo e completo Accordo, che unifica i precedenti, dovranno trovare spazio l’eliminazione e la semplificazione degli obblighi burocratici di comunicazione agli organismi di controllo.

–          Definire il libretto formativo informatizzato e dare mandato agli enti formatori per il loro aggiornamento.

–          Applicare le indicazioni del “ Decreto del Fare” immediatamente senza nuovi vincoli o tabelle parametrali che ingabbiano la semplificazione.

–          Obbligare la qualificazione dei docenti per tutte le tipologie di corsi previsti dal D. Lgs. 81/2008 e, quanto prima, rivedere il DM del 6 marzo 2013.

 

  1. Il futuro delle Regioni

Abuseremmo del nostro ruolo per dire cosa devono fare le Regioni. Sulla base del lavoro, giorno per giorno a fianco dei formatori e dei lavoratori, ci permettiamo di offrire al dibattito alcuni spunti di riflessione:

  1. a) Rendere attivi e propositivi con azioni sostanziali e non formali i “Comitati Regionali di Coordinamento” di cui all’art. 7 del D. Lgs. 81/2008. Basti ricordare come nella relazione Tofani un giudizio fortemente critico era emerso al proposito.
  2. b) Sviluppare le attività promozionali (art. 11 D. Lgs. 81/2008) in tema di formazione, cultura e sicurezza nei luoghi di lavoro.
  3. c) Attivare le azioni di prevenzione con piani locali che tengano conto dei dati degli infortuni e delle malattie professionali.
  4. d) Attuare un piano di formazione destinato agli operatori della vigilanza.

 

La situazione ha raggiunto un punto di non ritorno: tutti i protagonisti facciano un esame ed una riflessione, si smetta di continuare a legiferare a ruota libera ma si tenga la barra ferma sulla semplificazione. Dai “rumors” che giungono dalla segrete stanze non si hanno notizie incoraggianti. Viene annunciato un Accordo Stato regioni sul RSPP di aggiornamento dell’attuale, che risale al 2006, ma redatto con il medesimo sistema e la solita logica. Ben più grave, pare, sia il prossimo decreto sulla prevenzione incendi, che sostituisce il noto decreto 10 marzo 1998, laddove –  per quanto riguarda la formazione – non viene riconosciuto il D.I. 6 marzo 2013 sulla qualificazione dei formatori (che invece verrà introdotto dal nuovo Accordo per gli RSPP) ma viene introdotto un sistema autoreferenziale interno alla categoria dei vigili del fuoco. Se questa è l’aria che si respira altro che campa cavallo, stiamo uccidendo il cavallo!

 

 

Rocco Vitale, presidente Aifos

 

Tratto da: www.puntosicuro.it

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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