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Rischio biologico: l’inquinamento da bioaerosol e spore fungine

Roma, 3 Lug – All’esposizione a bioaerosol – un complesso di particelle solide sospese nell’aria provenienti da organismi biologici, compresi i microrganismi (virus, batteri e funghi e loro spore) e i frammenti di materiali biologici (ad esempio residui vegetali, pollini e peli di animali) – sono associabili una vasta gamma di problemi e patologie per i lavoratori.

In particolare l’esposizione a lungo termine a spore fungine, che possono rappresentare grandi porzioni del materiale particolato dell’aria, è correlata a sintomi respiratori ed a sintomi da sindrome tossica da polvere organica.

 

A parlare in questi termini dell’esposizione ad agenti biologici è il documento elaborato dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (Dit) dell’Inail dal titolo “ Procedura sperimentale per la determinazione di spore fungine in atmosfera” e a cura di Patrizia Di Filippo, Carmela Riccardi, Donatella Pomata, con la collaborazione di Francesca Buiarelli (Università Sapienza di Roma).

 

Il documento, che si sofferma in particolare sull’analisi di ergosterolo nel bioaerosol come indicatore della presenza di spore fungine in atmosfera, fornisce utili informazioni dell’esposizione al bioaerosol.

 

Il documento indica, come premesso a inizio articolo, che al bioaerosol, che rappresenta un sottoinsieme del materiale particolato atmosferico (PM), è associabile, secondo vari studi, “una vasta gamma di effetti avversi sulla salute umana: irritazione di membrane e mucose, bronchite e malattie polmonari ostruttive, rinite allergica e asma, alveolite allergica (polmonite granulomatosa) o sindrome tossica da polveri organiche (febbre da inalazione o polmonite tossica) [Sorenson & Lewis, 1996; Deguillaume et al., 2008; Després, et al., 2012; Mauderly & Chow, 2008; Zhang et al., 2010]”.

 

In particolare gli ambienti lavorativi nei quali si verifica spesso una esposizione al bioaerosol sono “quelli dove si producono sostanze biologiche altamente purificate come gli enzimi microbici che vengono utilizzati in particolari settori, o dove è necessario l’utilizzo di organismi biologici, come le aziende di trattamento e riciclaggio dei rifiuti, gli impianti di depurazione, quelle agroalimentari e di trasformazione alimentare, i laboratori di ricerca biotecnologica, le aziende farmaceutiche, le industrie di detersivi”. Tuttavia si possono verificare esposizioni a bioaerosol anche “in ambienti dove i microorganismi non sono utilizzati deliberatamente, come nei luoghi di immagazzinamento di particolari prodotti; negli ospedali e nei laboratori per le procedure post mortem o chirurgiche, dove si procede al taglio del legname o nelle aziende di produzione di mobili, in alcune aziende zootecniche e alimentari, sia di produzione che di commercio; le aziende per la lavorazione di filati e tessuti, le concerie, le aziende per la lavorazione di pelli, lana e seta e per la lavorazione di perle, coralli e conchiglie [Lacey & Dutkiewicz, 1994; Bünger et al., 2000]”. E chiaramente sono potenzialmente a rischio biologico anche “i luoghi pubblici, con grande affluenza di persone, come scuole, uffici, centri commerciali, cinema, teatri, mezzi di trasporto”.

 

Il documento segnala che gli agenti patogeni possono essere diversi: “virus; batteri; spore di actinomiceti, funghi e loro spore, muschi e felci; cellule vegetali e di alghe; insetti e acari e loro frammenti; proteine da fonti vegetali e animali; enzimi, antibiotici e altri prodotti da processi biotecnologici; endotossine da batteri gram-negativi, e micotossine e glucani da funghi [Douwes et al., 2003]”. E per questo motivo lo studio di sostanze facenti parte del bioaerosol è un “problema centrale nel campo occupazionale”.  L’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute dei lavoratori nel Rapporto “European Risk Observatory Report” pubblicato nel 2007 e riguardante i rischi biologiciemergenti, “elenca, tra i principali dieci, le muffe, che sono un tipo di funghi microscopici filamentosi [European Agency for Safety and Health at Work, “European Risk Observatory Report” – EN3 – Expert forecast on Emerging Biological Risks related to Occupational Safety and Health, 2007]”.

 

Ci soffermiamo infine sui funghi e sulle spore fungine.

 

Il documento ricorda che i funghi sono ubiquitari nell’ambiente e generalmente “crescono come saprofiti su materiale organico non vivente o come agenti patogeni invasivi nel tessuto vivente”. In particolare le spore “si sviluppano durante diverse fasi del complesso ciclo di vita dei funghi a scopo riproduttivo e di distribuzione; essendo resistenti a condizioni ambientali avverse, garantiscono la sopravvivenza del fungo. Le aerospore sono la parte biologica dominante nell’aria e la loro presenza è confermata sia negli ambienti outdoor che indoor. La crescita dei funghi è favorita dalla temperatura di 18-32° C, umidità relativa superiore al 65% e presenza di substrato organico, come piante, detriti di piante e suolo, legno, prodotti del legno, stoffe, alimenti”.

 

Si segnala poi che il fungo può essere “un patogeno che causa infezioni, un aeroallergene, o entrambe le cose insieme. Mentre per causare infezioni, il fungo deve poter crescere a temperatura corporea, proprietà questa comune ad un ristretto numero di specie fungine (membri dei generi Aspergillus e Penicillium), gli allergeni fungali includono spore da patogeni delle piante come Cladosporium e Alternaria. Quindi i microrganismi vitali (anche definiti viable), compresi i funghi, possono causare malattie nell’organismo ospite, in dipendenza dal potenziale patogeno, dal numero di microorganismi presenti nell’organismo ospite, dall’integrità di difesa dell’ospite. Diversamente, allergeni preformati da frammenti ifali possono suscitare una risposta immunitaria, anche in assenza di germinazione e crescita locale. In definitiva, mentre le infezioni possono essere causate solo da cellule fungine vitali, la componente fungina non ha bisogno di essere viable per suscitare una reazione allergica”.

 

Concludiamo segnalando che, come abbiamo già ricordato in un precedente articolo, tra i luoghi di lavoro più a rischio, a causa della presenza di funghi, “ci sono le industrie della trasformazione del legno, di trasformazione e stoccaggio di prodotti vegetali, le aziende agricole e di stoccaggio dei cereali, le industrie farmaceutiche, i laboratori di biotecnologie e di produzione di alcolici, l’industria alimentare per la lavorazione di insaccati, formaggi, funghi, pesce, i forni per il pane, le biblioteche e i luoghi di restauro dei libri, gli allevamenti di bestiame e in genere qualsiasi luogo di lavoro con scarso ricambio d’aria, buio ed umido, o provvisto di sistemi di climatizzazione scarsamente manotenuti”.

 

 

 

Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici dell’Inail, “ Procedura sperimentale per la determinazione di spore fungine in atmosfera”, a cura di Patrizia Di Filippo, Carmela Riccardi, Donatella Pomata, con la collaborazione di Francesca Buiarelli (Università Sapienza di Roma), versione 2016, pubblicazione gennaio 2017 (formato PDF, 133 kB).

 

 

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RTM

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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