Loading

L’attività del CSE: controllore aggiunto o regista della sicurezza?

Le funzioni, gli obblighi e la condotta penalmente esigibile da parte del Coordinatore della sicurezza per l’Esecuzione dell’opera (CSE). Di Carmelo G. Catanoso.
 

Nell’ultimo anno sono stati pubblicati diversi documenti da parte di enti di vigilanza, associazioni di settore, ordini e collegi professionali, ecc., su quelle che sono le funzioni, gli obblighi e la condotta penalmente esigibile da parte del Coordinatore della sicurezza per l’Esecuzione dell’opera (CSE).

 

In questi documenti viene adesso ribaltato quanto per anni è stato detto su questa figura in convegni, seminari, corsi e commenti su pubblicazioni del settore, spesso ad opera di funzionari o ex funzionari di enti di vigilanza e da rappresentanti della Pubblica Accusa. Chi ha avuto modo di partecipare a queste iniziative o leggere le pubblicazioni, sicuramente ricorderà affermazioni come queste:

–       << il CSE è il deus ex machina del cantiere….>>

–       <<il CSE deve vigilare sull’operato delle imprese in cantiere…>>

–       << il CSE è il perno della sicurezza in cantiere ….>>.

 

Adesso, sembra, insomma, che si sia passati da un approccio “talebano” ad un approccio moderatamente pragmatico. Sicuramente, questo cambio di atteggiamenti è dovuto al continuo susseguirsi, a partire dal gennaio 2010, di una serie di pronunce della Cassazione Penale riguardo quale debba essere la condotta penalmente esigibile da parte del CSE.

Come noto, la figura del Coordinatore della Sicurezza per l’Esecuzione (CSE), introdotta dalla direttiva 92/57/CEE, già prevista dal D. Lgs. n° 494/1996 e riconfermata dal D. Lgs. n° 81/2008, è attualmente gravata, nella nostra legislazione, da una serie di obblighi e responsabilità.

 

Probabilmente il legislatore, nell’istituire la figura CSE, non voleva introdurre un nuovo soggettogarante in toto della sicurezza in cantiere ma solo innalzare il livello di tutela. Va però detto che la formulazione dell’articolato che lo riguarda (ieri art. 5 del D. Lgs. n° 494/1996 e oggi art. 92 del D. Lgs. n° 81/2008), denotava e denota palesemente una scarsa conoscenza delle dinamiche organizzative e relazionali che permeano il settore delle Costruzioni.

Il D. Lgs. n° 494/1996 doveva avere, come obiettivo primario, quello di migliorare il sistema di gestione dei rischi aggiuntivi ed interferenziali (così come richiesto dalla direttiva 92/57/CEE di cui è provvedimento di recepimento e ben rappresentata dai “considerando” della direttiva stessa), derivanti dalla presenza in cantiere di più imprese e più lavoratori autonomi, affidandone la regia in fase progettuale al Coordinatore della Sicurezza per la Progettazione (CSP) e poi, in fase esecutiva, al CSE, e non quello di creare un ulteriore livello di controllo, da affidare in esclusiva a quest’ultima figura, per prevenire i reati propri [1] dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti delle imprese o dei lavoratori autonomi.

 

Infatti, non è un caso che la direttiva 92/57/CEE preveda la Responsabilità dei committenti e dei responsabili dei lavori (art. 7) e gli Obblighi dei datori di lavoro e di altri gruppi di persone (artt. 9 e10) mentre si limita, per CSP e CSE, a prevedere i Compiti dei Coordinatori (art. 5 e 6).

 

Il nostro legislatore non ha certo brillato per chiarezza nel recepimento della citata direttiva e con la motivazione di voler innalzare il livello di tutela ha previsto una serie di obblighi penalmente sanzionati per il CSP e, soprattutto, per il CSE. Tutto ciò ovviamente, ha innescato negli enti di vigilanza, soliti rilevare i reati di puro pericolo, la convinzione che una situazione di reato concretizzatasi in seguito alla mancata adozione di una misura prevenzionale prevista da unobbligo proprio (cioè posto a carico di ben determinati soggetti che, nel caso in esame, sono il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti delle imprese), fosse sistematicamente addebitabile anche al CSE.

 

Ma c’è di più. Questo approccio ha dimostrato in questi anni, la palese incapacità a comprendere quale sia la condotta penalmente esigibile da parte dei CSE. Infatti, ammesso che lo stesso CSE possa essere sempre presente in cantiere per vigilare sull’operato delle imprese e dei lavoratori autonomi, questi non potrebbe mai conseguire il risultato di assicurare la completa adozione di tutte le misure prevenzionali in quanto, fisicamente, non potrebbe mai vigilare su tutto il cantiere nello stesso tempo.

 

Infatti, non è un caso che lo stesso legislatore, fin dagli anni ’50, abbia definito, tra le altre, la figura del preposto e cioè quel soggetto, appartenente alla sfera imprenditoriale, addetto a vigilare sulla concreta applicazione delle misure prevenzionali adottate dal datore di lavoro.

Pertanto, con l’introduzione della figura del CSE, è stato un grave errore pensare che i compiti (e le responsabilità) delle varie figure d’impresa (preposto, in primis) siano passati anche sulle spalle del coordinatore facendo sì che quest’ultimo sia sempre chiamato a rispondere per la mancata vigilanza sull’attuazione degli obblighi di sorveglianza posti a carico delle prime.

Del resto basterebbe leggere i contenuti dell’allegato XV al D. Lgs. n° 81/2008 (Contenuti minimi dei piani di sicurezza), palesemente redatto, visti l’approccio pragmatico e i contenuti, da unapenna diversa rispetto a quella del Capo I del Titolo IV, per rendersi conto che l’oggetto dell’azione dei coordinatori sono i rischi interferenziali e quelli derivanti dalle particolarità dell’area di cantiere e della relativa organizzazione dei lavori ma non quelli propri o specifici dell’attività d’impresa.

 

In conclusione, pensare che il coordinatore debba occuparsi anche dei rischi propri o specifici delle imprese esecutrici altro non è che l’applicazione distorta di un di per sé confuso precetto normativo.

 

Comunque, si ricorda che obblighi del CSE sono quelli indicati dall’art. 92 del D. Lgs. n° 81/2008.

Articolo 92 – Obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori

  1. Durante la realizzazione dell’opera, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori:
  1. verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100, ove previsto, e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
  2. verifica l’idoneità del piano Operativo di Sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 100, assicurandone la coerenza con quest’ultimo, ove previsto, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 e il fascicolo di cui all’articolo 91, comma 1, lettera b), in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza;
  3. organizza tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione;
  4. verifica l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;
  5. segnala al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95 e 96 e 97,comma 1,  alle prescrizioni del piano di cui all’articolo 100, ove previsto, e propone la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione dà comunicazione dell’inadempienza alla azienda unità sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competenti;
  6. sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.
  1. Nei casi di cui all’articolo 90, comma 5, il coordinatore per l’esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui al comma 1, redige il piano di sicurezza e di coordinamento e predispone il fascicolo, di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e b), fermo restando quanto previsto al secondo periodo della medesima lettera b).

 

Andando ad esaminare quanto richiesto dall’art. 92, comma 1 lettera a) del D. Lgs. n°81/2008, ciò deve essere inteso come un’attività da espletare all’interno dell’azione di coordinamento e controllo delle attività in cantiere, prima e durante l’esecuzione dei lavori.

 

Il CSE non può e non deve essere il vigilante interno al cantiere; egli è un tecnico che organizza e dirige la sicurezza, non può sostituirsi al datore di lavoro e ai suoi dirigenti e preposti e non ha alcun titolo per controllare le maestranze ma soprattutto non può essere ritenuto responsabile per inadempienze a obblighi di legge commesse da altri.

Concetto semplice, ma spesso sconosciuto in pratica, anche a chi ha istituzionalmente l’obbligo di controllare sul campo il rispetto della legge.

 

In generale, va quindi chiarito, che l’azione di controllo richiesta al CSE, invece, deve essere di tipo propositivo, poiché questi deve limitarsi a indicare al Committente quale possa essere, di fronte a:

  • la mancata attuazione, da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi, di quanto previsto nel PSC, ciascuno per la parte di propria pertinenza (art. 100, comma 3 del D. Lgs. n°81/2008);
  • la mancata attuazione, da parte delle sole imprese,  di quanto previsto nel Piano Operativo di Sicurezza – POS (art. 100, comma 3 del D. Lgs. n°81/2008),
  • il mancato adeguamento, da parte dei lavoratori autonomi, alle indicazioni fornite dal CSE (art. 94, del D. Lgs. n°81/2008),

l’azione correttiva più consona da attuare per ri-allineare i comportamenti delle imprese e dei lavoratori autonomi e migliorare il livello di sicurezza in cantiere.

 

Al CSE, infatti, è richiesto di verificare, e non di assicurare (non ha un obbligo di risultato ma di mezzi), l’osservanza e il rispetto, da parte di tutte le imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi presenti in cantiere, della corretta applicazione del PSC.

 

Il CSE deve pianificare e programmare la propria attività, in funzione dell’evoluzione dei lavori e dei periodi di particolare criticità, garantendo con tutte le azioni tecniche, organizzative e procedurali che metterà in atto, l’efficacia prevenzionale della propria funzione.

 

Non si può pretendere la continua presenza del CSE in cantiere, ma una presenza funzionale allo stato d’avanzamento dei lavori sia per far da filtro organizzativo all’accesso in cantiere di tutte le imprese e i lavoratori autonomi a cui il Committente ha direttamente affidato i lavori, sia per un controllo delle modalità lavorative adottate dalle stesse.

 

I datori di lavoro delle imprese con i propri dirigenti e preposti, avevano, hanno e avranno sempre le loro responsabilità derivanti dalla normativa prevenzionale vigente, che non potranno essere alleggerite dalla presenza del CSE, perché ad esso demandate.

 

L’art. 92 comma 1, lett. b) richiede al CSE di verificare l’idoneità del POS.

Anche in questo caso vanno fatte delle precise distinzioni.

Il CSE deve attuare due differenti obblighi:

  1. verificare l’idoneità del POS;
  2. assicurare la coerenza del POS con il PSC.

 

Nel primo caso, l’uso del verbo verificare, deriva dal fatto che il legislatore richiede al CSE, solo la verifica dell’idoneità del POS, proprio perché l’obbligo di risultato in termini d’idoneità del POS, spetta solo al datore di lavoro dell’impresa esecutrice.

 

Se il POS non è idoneo, il CSE non dovrà fare altro che rispedirlo al mittente richiedendo gli adeguamenti allo standard costituito dai contenuti indicati dall’Allegato XV al D. Lgs. n° 81/2008[2].

 

Quindi, non è certo corretto pensare che il legislatore abbia voluto individuare un profilo di responsabilità del CSE anche per i rischi propri specifici dell’attività d’impresa, perché in caso contrario si rischierebbe di attivare l’automatica chiamata in causa del CSE per qualunque reato di puro pericolo, contravvenzionalmente sanzionato dall’ente di vigilanza, a carico dell’impresa esecutrice.

 

Nel secondo caso, l’uso del verbo assicurare, a differenza del primo, impone un obbligo di risultato al CSE e va inteso, quindi, come aspetto fondamentale delle attività funzionali di questa figura. Il CSE, quindi, deve essere garante che il POS sia coerente con il PSC e cioè che l’impresa abbia recepito, coerentemente, le indicazioni contenute nel PSC. Tale garanzia, però, deve riguardare solo le attività descritte nel POS e non i comportamenti dell’impresa adottati in concreto durante l’esecuzione delle lavorazioni in cantiere. Se il POS non è idoneo e non è coerente con il PSC, il CSE non dovrà fare altro che rispedirlo al mittente richiedendo gli adeguamenti necessari.

 

Come già detto prima, il CSE non è un ufficiale di polizia giudiziaria (UPG), visto che la sua funzione è prevalentemente indirizzata verso un’attività di monitoraggio e verifica e, quando necessario, di richiesta di regolarizzazione (art. 92, comma 1, lettera e) del D. Lgs. n° 81/2008), alle imprese ed ai lavoratori autonomi, solo delle inosservanze alle disposizioni agli articoli 94, 95 , 96 e 97 comma 1 ed alle prescrizioni del PSC di cui all’art. 100 del D. Lgs. n° 81/2008.

 

Innanzi tutto va chiarito che le inosservanze riscontrate, ovviamente, sono quelle derivanti dal mancato rispetto di quanto previsto nel PSC e nel POS.

 

Il problema è che spesso, gran parte dei funzionari degli enti di vigilanza e della magistratura inquirente e giudicante, non riesce a comprendere che non è possibile verificare con continuità quanto sopra. Questo perché le situazioni e i comportamenti che si discostano da quanto definito nei documenti programmatici citati, si possono concretizzare in tempi rapidissimi quando il CSE non è presente in cantiere. Visto che ci sono datori di lavoro, dirigenti e preposti, con specifici obblighi a loro carico, previsti dalla normativa fin dagli anni ’50, la Corte di Cassazione, anche se con grande ritardo, non ha fatto altro che richiamare tutto ciò  con due pronunce della Sez. IV, n° 1490 del 14 gennaio 2010 e n ° 18149 del 13 maggio 2010, a cui ne sono seguite molte altre (come si vedrà più avanti), ribadendo che devono essere le figure d’impresa, già citate, ad essere le prime a verificare con continuità il rispetto dei contenuti del PSC e del POS, visto che esse sono o dovrebbero essere, loro sì, sempre in cantiere.

Il nuovo indirizzo fornito dalla Cassazione Penale ha messo uno stop ad affermazioni da parte di rappresentanti della Pubblica Accusa e funzionari degli enti di vigilanza che in convegni, seminari, ecc., ribadivano che <<il CSE deve essere pronto ad intervenire “sempre”, dall’inizio lavori alla chiusura del cantiere, senza limitare l’intervento ai soli casi in cui si verifichino situazioni che mettono a rischio l’incolumità degli addetti ai lavori>>. Affermazioni come questa, purtroppo ancora oggi molto diffuse nonostante i nuovi orientamenti della Cassazione Penale, denotano che non si è compreso che, in cantiere, il CSE ci va sulla base di una sua valutazione che è sua e soltanto sua ed è basata su criteri oggettivi che tengono conto delle diverse variabili tipiche del cantiere; in definitiva, il CSE in cantiere può andarci tutti i giorni, due volte al giorno, una volta alla settimana, ecc., così come ritiene meglio fare per garantire l’espletamento dei suoi compiti.

 

Esistono, però, delle fasi particolarmente critiche in cui è indispensabile la presenza del CSE durante lo svolgimento delle stesse.

 

Quando si parla di fase critica s’intende una fase dell’attività in cui si possono concretizzare, in tempi ristrettissimi, situazioni e comportamenti in grado di alterare il livello di sicurezza atteso (già frutto dell’analisi dei rischi e della definizione delle misure prevenzionali previste nel PSC), rendendolo non più accettabile.

 

In altre parole, parlando di criticità non si sta lasciando alle imprese l’onere di inventarsi delle soluzioni a rischi non valutati in fase di progetto e di coordinamento progettuale ma si sta chiedendo al CSE, al verificarsi di queste criticità, una presenza in cantiere al fine di intervenire per individuare, in tempo reale, insieme all’impresa affidataria ed alle imprese esecutrici, una serie di soluzioni condivise che permettano l’esecuzione dei lavori in sicurezza.

 

Ad esempio, nel caso di un cantiere per l’esecuzione di un cavalcavia ferroviario dove sono presenti delle linee elettriche aeree non sezionabili (l’alimentazione elettrica della linea ferroviaria), pur prevedendo nel PSC una serie di misure tecniche, organizzative e procedurali, rimane la necessità, di dover operare, sia per l’esecuzione delle spalle che, in particolare, per la posa delle travi, al di sopra delle linee elettriche in tensione non eliminabili/spostabili.

 

Queste fasi critiche richiedono la presenza del CSE:

    • prima dell’inizio dei lavori, per una specifica riunione di coordinamento con, ovviamente, tutte le imprese incaricate dell’esecuzione di questi lavori, al fine di richiamare tutte le scelte progettuali ed organizzative e le regole definite preventivamente nel PSC;
    • successivamente, durante la vera e propria posa delle travi al di sopra della linea in esercizio.

 

Tornando all’obbligo di segnalazione previsto dall’art. 92 comma 1, lett. e), il legislatore, però, ha imposto al CSE, prima di procedere alla segnalazione al committente o al responsabile dei Lavori (RL), di contestare per iscritto alle imprese le inosservanze ai citati articoli, in modo da permettere un contraddittorio con le stesse e la successiva risoluzione del problema evidenziato.

 

La richiesta di segnalazione al committente o al RL non può che essere di tipo propositivo, visto che l’art. 92, comma 1 lettera e) del D. Lgs. n° 81/2008, chiede al CSE di indicare il provvedimento più adeguato alla tipologia ed entità della violazione commessa dall’impresa: sospensione dei lavori, allontanamento dal cantiere o risoluzione del contratto.

 

Va precisato che la sospensione dei lavori citata dal legislatore, misura adottabile solo dal Committente o dal RL, non si riferisce alla singola lavorazione ma all’insieme delle lavorazioni che si svolgono in cantiere e cioè al cantiere nella sua interezza, con la conseguenza di bloccare l’esecuzione dell’intera opera, penalizzando, così, anche tutte le altre imprese che inadempienti non sono.

 

Il legislatore, pertanto, ha inteso prefigurare la sospensione dei lavori come l’ultima soluzione da adottare solo nel caso in cui l’attività in cantiere non possa proseguire vista la continua ed immodificabile condotta inadempiente dell’impresa.

 

Particolarmente criticabile è la previsione che obbliga il CSE, nel caso il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione senza fornire idonea motivazione, di comunicare ad ASL e DTL territorialmente competenti tale inadempienza. Qui il legislatore ha dimenticato che tra committente/responsabile dei lavori e CSE c’è un rapporto fiduciario nonché un obbligo di verifica dei primi sull’operato del secondo (art. 93). Forse il legislatore voleva fornire un supporto agli enti di vigilanza per esercitare un maggiore controllo sui cantieri? Chissà? Certo è che il legislatore s’è dimenticato che il CSE non è un ufficiale di polizia giudiziaria che, invece, ai sensi di quanto previsto dall’art. 55 del c.p.p., ha l’obbligo d’intervento per evitare che la situazione di reato in atto venga portata ad ulteriori conseguenze. Né tantomeno il CSE ha l’obbligo, come privato cittadino, di denunciare i reati di cui viene a conoscenza (a meno che non si stia parlando di delitti puniti con l’ergastolo o di delitti contro la personalità dello Stato). Il buon senso, negli ultimi due decenni merce rara in ambito legislativo in tema di sicurezza sul lavoro, avrebbe consigliato due alternative:

1)    il CSE segnala agli enti di vigilanza il soggetto che sta commettendo il reato e cioè l’impresa oppure;

2)    non si prevede alcun obbligo di comunicazione agli enti di vigilanza lasciando che siano questi, in base alla programmazione delle loro attività, ad effettuare i controlli ed i conseguenti interventi.

 

Proseguendo nella disamina dell’art. 92, è solo nei casi previsti dalla lett. f) dell’art. 92 del D. Lgs. n° 81/2008 e cioè in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, che il CSE acquista il potere, ma anche il dovere, di ordinare la sospensione delle singole lavorazioni alle imprese esecutrici ed ai lavoratori autonomi coinvolti, fino all’avvenuta verifica della messa in atto degli adeguamenti necessari al ripristino delle condizioni di sicurezza in cantiere.

 

Va chiarito infatti che il CSE è obbligato ad intervenire solo quando, durante le sue verifiche, programmate ed attuate in funzione delle specificità e criticità dei lavori, ravvisasse situazioni tali da poter potenzialmente compromettere gravemente l’incolumità degli addetti ai lavori e di terzi in quanto direttamente esposti al rischio.

 

E’ del tutto evidente che la discriminante che fa scattare l’azione del CSE è quella relativa all’esecuzione di lavorazioni particolarmente critiche e che influenzano le altre attività lavorative che si svolgono nello stesso tempo e nella stessa area di cantiere, creando dei rischi interferenziali.

 

Se queste situazioni non si concretizzano, l’attività del CSE non è richiesta in quanto, trattandosi di rischi propri dell’impresa, essi sono governati dalle norme prevenzionali vigenti.

In definitiva e in sintesi, al fine di individuare correttamente l’ambito d’azione e, quindi, delle responsabilità del CSE, è fondamentale riferirsi alle tipologie dei fattori di rischio, distinguendone due categorie:

  • fattori di rischio specifici propri, direttamente connessi con le specifiche lavorazioni a cura e nella responsabilità del singolo datore di lavoro (con misure di prevenzione e di protezione da indicare nel rispettivo POS e riconducibili alla realtà organizzativa, alla dotazione di macchine e di attrezzature e alle scelte operative di ciascuna impresa);
  • fattori di rischio interferenziali e contestuali, ovvero inerenti alla realtà di cantiere con le sue peculiarità, in quanto tengono conto delle caratteristiche del sito, delle sue caratteristiche al contorno, delle tipologie delle lavorazioni svolte da tutti i soggetti presenti in cantiere e delle loro possibili interferenze spaziali e/o temporali.

 

E sono proprio i soli fattori di rischio proposti al secondo punto quelli facenti capo al coordinamento, sia in fase di progettazione, con la redazione del PSC, sia , ancora di più, in fase di esecuzione, quando il CSE si troverà in concreto di fronte alla summenzionata specifica realtà di cantiere.

 

A rafforzare quanto sopra, vi è una serie di  sentenze della Corte di Cassazione:

Cassazione Penale Sez. IV, n° 1490 del 14 gennaio 2010 – Cassazione Penale Sez. IV, n° 18149 del 13 maggio 2010 – Cassazione Penale Sez. IV, n° 12703 del 29 marzo 2011  – Cassazione Penale Sez. IV, n° 14654 del 12 aprile 2011  – Cassazione Penale Sez. IV, n° 25663 del 27 giugno 2011 – Cassazione Penale Sez. IV, n° 46839 del 19 dicembre 2011 – Cassazione Penale Sez. IV, n° 6379 del 16 febbraio 2012 – Cassazione Penale, Sez. IV, n° 37738 del 12 settembre 2013 – Cassazione Penale, Sez. IV, n° 47283 del 17 novembre 2014 – Cassazione Penale, Sez. IV, n° 7960 del 23 febbraio 2015 – Cassazione Penale, Sez. IV, 02 luglio 2015, n. 28132 – Cassazione Penale, Sez. IV, 16 luglio 2015, n. 31015 – Cassazione Penale, Sez. IV, 16 settembre 2015, n. 37595 – Cassazione Penale, Sez. III, 19 ottobre 2015, n. 41820 – Cassazione Penale, Sez. IV, udienza 17 dicembre 2015, n. 11634 – Cassazione Penale, sez. IV, 4 luglio 2016, n. 27165.

 

In tutte queste sentenze della Suprema Corte, si ribadisce il concetto che il CSE, deve esercitare<<un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).>>

Inoltre, nelle citate sentenze, tra cui l’ultima elencata (Cassazione Penale sez. IV, n° 27165/2016), da apprezzare per l’estrema chiarezza, viene ribadito che le funzioni del CSE sono di <<alta vigilanza>> e non vanno confuse con la vigilanza operativa che è demandata al datore di lavoro ed alle figure che da lui dipendono come, ad esempio, il preposto.

Inoltre, sempre in quest’ultima sentenza, si ribadiscono altri aspetti estremamente importanti:

–       <<Il coordinatore per l’esecuzione non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale.>>;

–       << il CSE ha il compito di verificare documentalmente che vi sia stata un’attività di formazione ed informazione dei lavoratori, ma colui su cui grava l’onere di verificare – e la responsabilità – che tale formazione sia effettiva, è il datore di lavoro ai sensi dell’art. 37 d.lgs 81/08.

–       <<Mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il coordinatore opera attraverso procedure; tanto è vero che un potere-dovere di intervento diretto lo ha solo quando constati direttamente gravi pericoli (art. 92, co. 1 lett. f) d.lgs. n.81/2008)>>.

 

Accanto a queste, ignorate anche da gran parte dei commentatori, ci sono numerose sentenze di assoluzione nella giurisprudenza di merito, molte di queste divenute definitive per i CSE coinvolti, che definiscono con accuratezza il perimetro delle funzioni e delle responsabilità del CSE: Tribunale di Avellino, Sez. Pen., 03 ottobre 2011, n. 151 – Tribunale di Como, Sez. Erba, 30 luglio 2013, n. 129 – Tribunale di Como, Sez. Pen., 26 febbraio 2014, n. 270 – Tribunale di Sondrio, Sez. Pen., 18 marzo 2014, n. 102 – Tribunale di Reggio Emilia, Sez. Pen., 20 maggio 2014, n. 1089 – Tribunale di Milano, Sez. Pen. 6, 24 settembre 2014, n. 7017 – Corte d’Appello di Milano, Sez. 5, 26 novembre 2015, n.8128, Corte d’Appello di Brescia, Sez. 2, 4 maggio 2016, n. 1426.

 

In conclusione, per tenere conto sia delle reali dinamiche organizzative e produttive del settore delle costruzioni che delle ripetute pronunce della Corte di Cassazione, si reputa opportuno che il legislatore riveda approfonditamente i contenuti del Titolo IV e, in particolare, gli obblighi del CSE anche per riavvicinarci al resto dei Paesi della UE che hanno definito tale figura non come un controllore aggiunto ma come un regista della sicurezza sul lavoro durante il processo costruttivo.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

 

 

[1] Per “reato proprio” s’intende il reato che può essere commesso soltanto da colui che riveste una determinata qualifica o ha uno status precisato dalla norma, o possiede un requisito necessario per la commissione dell’illecito come, ad esempio, il datore di lavoro, il dirigente, il preposto, ecc. citati nel D. Lgs. n° 81/2008.

 

[2] Su questo aspetto, tra le Regioni, si espressa anche la Regione Lombardia con il Decreto n° 3221 del 12/04/2016, “Linee d’indirizzo per la prevenzione e la sicurezza dei cantieri per opere di grandi dimensioni e rilevante complessità e per la realizzazione di infrastrutture strategiche”, pag. 11, par. 3.4, ultimo capoverso.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

Tag:
Category: Generic

No Comments

Comments are closed.